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mercoledì 2 novembre 2022

CONTRO LA MERITOCRAZIA E PER LA GIUSTIZIA A SCUOLA

 

LA SCUOLA NON E' UN LUOGO DI SELEZIONE MA DI RISCATTO 

                                                                         Mario Lodi 


don Milani 


Si moltiplicano le prese di posizione sulla nuova denominazione del Ministero dell’Istruzione e del Merito. Vorrei da persona che nella scuola è stata per quarantun anni esprimere una riflessione che, nello stesso tempo, deriva da una precisazione.

 Il problema non è il merito ma la meritocrazia. Nella Costituzione c'è il merito.  C'è scritto che i "capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi". Il che è coerente con il compito di "rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese". Senza rimozione degli ostacoli il merito diventa meritocrazia.

Con siffatta premessa, come ex dirigente scolastica mi ritrovo con quanto ha scritto, nella sua pagina di facebook, il collega Raimondo Rosario Giunta ora in pensione. Anch’io “ho presieduto sempre i consigli di classe nelle operazioni di scrutinio, quadrimestrali e finali; avevo un'idea chiara sia del profitto scolastico, ma anche dell'ambiente di provenienza dei miei alunni. Di tantissimi sapevo cosa facessero i genitori, dove abitassero e che problemi avessero” Come lui, incontro, ora ex-alunni che mi fermano e mi informo sul loro presente e su quello dei compagni di classe.  Emerge una amara e scontata realtà: “(…) quelli che si sono sistemati meglio non sono quelli che andavano bene a scuola, che non facevano assenze, che partecipavano alle attività scolastiche. Proprio per nulla. Quelli che si sono sistemati comodamente e in sede sono quelli che avevano famiglie solide dietro le spalle e ben ammanigliate; quelli che comunque andassero gli affari scolastici e per quanto durassero i loro studi avevano già il posto e/o il lavoro riservato. E spesso e ancora oggi mi chiedo se gli affanni che mi procurava il lavoro non siano stati provati inutilmente o siano serviti solo a quelli che ne potevano fare a meno”.

Non c’è alcun dubbio. La meritocrazia è la legge del più forte a scuola. Possono parlare di merito a cuor leggero quelli nati nel posto giusto, nella famiglia giusta e quanti non conoscono il percorso di milioni di giovani che sono passati e passano dalla scuola. Delle centinaia di migliaia di bambini che vivono in povertà e il cui destino è segnato quale sarà il loro merito? Quale sarà il loro demerito? Chi lo stabilisce? Con quali criteri?

 Parliamoci, allora, chiaro. "La scuola non è un luogo di selezione: è un luogo di riscatto". La scuola deve essere intesa come luogo d'inclusione, più che di selezione.

Scrive lo scrittore professore Enrico Galiano 

“Penso ai bambini e alle bambine dell’infanzia, o della primaria, che fin da piccoli mettono piede in un posto che fa capo al Ministero del Merito: e quindi vengono abituati fin da piccoli al concetto di premi e punizioni, se fai il bravo ti meriti questo e se non fai il bravo ti meriti quest’altro. Penso ai ragazzi e alle ragazze più grandi, che alle medie sono buttati nello tsunami della preadolescenza e hanno bisogno di tutto, di affetto, di ascolto, di calma, di bellezza, ma non certo di un Ministero del Merito. Lo vogliamo capire che la scuola non è un posto dove si vanno a selezionare i migliori, che pensarla così è il modo più antidemocratico che esista?La scuola, per quello che ci ho capito io, non è il posto dove si premiano i migliori: è quello dove si va a tirare fuori il meglio da ciascuno studente e studentessa.nella logica del premio e del castigo, della competizione, del vince chi se lo merita, lasciatevelo dire, viene fuori solo il peggio di loro”.

 Vero, verissimo... concepire lo studio come una corsa solitaria fra pochi ritenuti più capaci sviluppa il concetto "morte tua vita mia”

Il contrario di quanto dettarono e furono di mia ispirazione i GRANDI MAESTRI del passato sia nel percorso universitario sia nella pratica educativa ( Montessori, Freinet, Lodi, Manzi, Ciari, Milani, Alfieri, Ridolfi). Quest’anno poi ricorre il centenario della nascita di Mario Lodi e l'anno prossimo sarà quello di don Milani. Il grande pedagogista Francesco Tonucci ricorda “Mi sembra che questi due grandi maestri dovrebbero essere punti di riferimento per la scuola (.:.) “La scuola di Mario Lodi e di don Milani ha l'obiettivo e l'obbligo di promuovere tutti, specialmente gli ultimi, non perché sono bravi gli studenti, ma perché è brava la scuola a portare tutti a realizzare le proprie potenzialità. Altrimenti, è come un ospedale che cura i sani”.


E allora?

La scuola italiana “La nostra scuola oggi, quella che vivono i nostri bambini, è quasi sempre illegale, nel senso che non corrisponde a quello che chiedono la Costituzione, la Convenzione e gli Orientamenti scolastici ministeriali. Dobbiamo essere consapevoli che quando ci riferiamo a Lodi o a don Milani, non parliamo di rivoluzionari guerriglieri che hanno fatto una scuola strana e azzardosa, ma di persone e maestri che interpretavano correttamente la costituzione. E' da qui che dobbiamo ripartire ed è alla luce di questo che potremo parlare di merito”(Tonucci).


Rincaro la dose e ritorno al titolo di questo post “Contro la meritocrazia per la giustizia a scuola “… perché e mi riallaccio ancora alle parole di Rosario Giunta, la giustizia a scuola è oggi l’unica giustificazione della sua esistenza.  La scuola pubblica deve formare cittadini uguali, con uguali chances di partecipare alla vita pubblica, economica e sociale. Il problema della giustizia a scuola è quello dell’accesso libero e paritario al sapere e alla conoscenza da parte di tutti i giovani.


Donata Albiero  


 

1 commento:

  1. A Caltagirone in prima media, moltissimi anni fa purtroppo, eravamo in trentatré ragazzini, approdati dalle scuole elementari del dopoguerra alle aule ricavate in modo approssimativo all’interno di un ex convento barocco. Molti dei miei compagni provenivano da famiglie di contadini o braccianti, altri dal popolo minuto che viveva di sottooccupazione, lavori in nero, e si arrangiava come poteva. La città che dormiva adagiata su tre colline era in gran parte costituita da stretti carruggi contorti che si inerpicavano verso il culmine di quell’agglomerato spontaneo di pietre arenarie, verso la chiesa e il pianoro dell’Ex Matrice. Da lì si dominava la grande scalinata che scendeva dritta verso le piazze, un mare di tetti che degradavano fino ai limiti del paese affacciato su calanchi di argilla che sprofondavano nella pianura sottostante. Un gregge di colline e montagne lontane scendeva giù fino al mare di Gela.
    I miei compagni di scuola erano in gran parte quelli con cui avevo condiviso i giorni della mia infanzia, con cui avevo giocato nelle strade e nelle piazzette dove non passavano mai automobili ma solo muli, asini e carretti. Il paese, era ricco di botteghe di artigiani, fabbri, falegnami, scopai, costruttori di ruote, finimenti per cavalli, cinghie, specchietti rotondi, campanellini di ottone, fiocchetti multicolori per agghindare il cavallo nei giorni di festa… Un mondo pieno di fermenti dove, tra ripiani e scalette, echeggiava, di balza in balza un solo richiamo, ripetuto da cento mamme affaccendate : “Concettinaaa”. Erano tante le Concettine allora che sfuggivano ai rigidi controlli delle mamme per giocare con i ragazzi.
    Non ho mai dimenticato un colloquio tra mia mamma e la mia professoressa di lettere. Si chiamava Bianca. I suoi sogni d’amore, semmai ne avesse avuti, erano già svaniti da un pezzo nella sua vita da zitella accanto alla vecchia madre. Bianca era una rigida cattolica, di una severità impressionante per noi ragazzini che venivamo sottoposti a tremendi interrogatori per individuare un compagno che aveva osato fare un piccolo fischio durante la lezione. Tutti sapevamo che era stato Dante Dieli, che, malgrado il nome, non eccelleva gran ché in italiano. Nessuno di noi però fece il suo nome. Fu ugualmente individuato dalla cerbera quando svenne davanti a lei che era arrivata fino a lui sfilando davanti a noi interrogandoci uno per uno.
    Bianca, parlando con nonchalance, diceva a mia madre “ Sai Rina, io taglio, taglio, taglio finché mi faccio una bella classetta che mi porto fino agli esami di terza media” Non so perché non ho mai dimenticato questo colloquio da cui compresi il motivo per cui ero stato separato da Cicciuzzo, il mio compagno di scuola e di giochi, figlio dell’infermiere di mio padre, che ripetette per la seconda volta la prima media.
    Il nuovo professore di Cicciuzzo si chiamava Chiarandà e anche di lui ricordo un breve colloquio con mia madre. “ Sa signora, io non curo i primi della classe perché tanto ce la fanno da soli. A me interessa l’ultimo perché non voglio perderne nessuno per strada.”
    Mi ritornano in mente questi ricordi della mia infanzia di cui allora non coglievo appieno il significato e penso alla dispersione scolastica. Anche adesso, nei quartieri di San Cristoforo o nuovo san Berillo, Librino di Catania i bambini abbandonano già dalle prime classi della scuola dell’infanzia o delle medie. Sfrecciano sui motorini per scippare la borsa a turiste svagate o signore anziane. E mi chiedo a quale merito si riferisca il geniale Ministro che ha coniato il nuovo nome del Ministero della pubblica istruzione.

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