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giovedì 26 ottobre 2017

I BAMBINI NON SANNO PIU’ GIOCARE ALL’APERTO



Bambini: l’80% non gioca più all’aperto


  Cento strade per giocare  
                                            https://www.youtube.com/watch?v=-CCxI2en0ZU


Capita, in un pomeriggio, aspettando a casa i tuoi nipotini, che ti salga la malinconia, quella per intenderci che ti porta lontano con i ricordi, ti fa tornare indietro con il tempo, a quand’eri bambina.

Inizi a ricordare quello che hai vissuto, a ricordare, con molta nostalgia, quelle giornate d’estate passate, da maschiaccio (come ti rimproveravano a casa), a correre con la bici, insieme agli amici senza distinzione di sessi, a sfrecciare nella strada in discesa con i pattini a rotelle.  E le cadute prese, le ginocchia sbucciate, le mani graffiate, a volte qualche punto di sutura, ma era bello, eri libera …
Ricordi quei pomeriggi indimenticabili a giocare a nascondino per la strada e tra le case in costruzione, quel cercare e l’essere cercata che non finiva mai, a volte, sempre all’aperto, il gioco del “campanon”, del fazzoletto, dell’alza bandiera, del girotondo, delle belle statuine, della mosca cieca; erano bei tempi, i tempi dei fioretti in chiesa a maggio e poi via a fare i giochi con gli amici, il gioco della cavallina, guardie e ladri. 
Erano i tempi del salto con la corda, delle partite di pallone in cui sfidavi i compagni e venivi schernita perché femmina.   
Erano i tempi in cui fatti i compiti (senza aiuti dalla famiglia) non ti fermavi mai, eri in continuo movimento, non ricordandoti l’ora del rientro a casa per la cena e magari tuo papà poi te le suonava.
Bei tempi!
Ora, mi guardo attorno e mi accorgo che non c’è più niente di tutto questo.
Non ci sono più le bambine e i bambini per strada, nemmeno i ragazzi e le ragazze che fanno le corse in bici, con i pattini, che giocano davanti casa, nelle piazze, nei quartieri, sui piazzali delle chiese e delle comunità. 
Dove sono, dove sono finiti?
I miei nipotini sono piccoli, di 4 e di 2 anni. Cosa faranno tra alcuni anni?

Eppure ci sono i ragazzi …
Sono seduti lì nella loro poltrona, davanti a un maxi televisore, magari stanno sfidando qualcuno che non conoscono nell’ultima guerra con la loro nuovissima consolle, stanno lì davanti a un pc, o con il cellulare, a chiattare con i loro amici piuttosto che starsene in strada. Li vedi supini, senza nervo, stanno lì chiusi tra quattro mura.
Oggi i ragazzi non giocano più come facevamo noi 40 / 50 anni fa.
E’ vero, i tempi sono cambiati, la tecnologia ci ha cambiati, il mondo è cambiato, la gente è cambiata, non lo nego. . .
Ma è triste andare nel parco giochi del paese e vedere che i ragazzi non sanno neppure arrampicarsi, vederli strillare per un ragnetto o un grillo.



















A costo di diventare noiosa e di intromettermi nell’educazione che spetta in primo luogo ai genitori dirò ai miei figli di insegnare ai loro piccoli, a cadere e a sbucciarsi le ginocchia, a non 
aver paura di un grillo, a correre in bici, a saltare, ad arrampicarsi e perché no a giocare fuori anche quando pioviggina e a bagnarsi le scarpe, a giocare a nascondino, a color color, a ruba bandiere. 

 Insegnare loro che è meglio affrontare i coetanei in strada che starsene a casa per paura … insomma, semplicemente, fare in modo che i loro figli imparino a muoversi, saltare, fare le capriole, giocare all’aperto perché oggi non lo sanno più fare, sanno usare il pc ma non sanno allacciarsi le scarpe.
Un bellissimo articolo di Massimo Fini su Il fatto quotidiano  riporta una ricerca di Sergio Dugnani, docente di Scienze del Movimento all’Università di Milano, che denuncia come in prima media due ragazzi su tre non siano in grado di fare una capriola.
Per Annalisa Zapelloni, decano dei docenti di educazione fisica romani, mancano in moltissimi giovani, non più bambini, la forza delle braccia e il senso dell’equilibrio. “Vedo ragazzini in difficoltà se chiedi loro di saltare a piedi pari una riga disegnata sul pavimento. Non sono disabili: semplicemente non l’hanno mai fatto”.

Ciò sarebbe dovuto alla scomparsa del “gioco di strada”. 
Che a sua volta è conseguenza delle strutture che hanno assunto le nostre città, grandi, medie, ma anche piccole, dove non ci sono più spazi liberi e non regolamentati.
E’ quanto verifico io.
Fini ricorda  i tempi in cui   “ ….  La strada era poi una scuola di vita, dove si imparava a conoscere gli altri e se stessi: la lealtà, la slealtà, il coraggioOggi i bambini e i ragazzini hanno perso quello spazio che noi avevamo in abbondanza. Al posto della campagna, che fino agli anni Cinquanta penetrava ancora nelle città, hanno il famigerato ‘verde’ che non si può toccare…”  

Altro  che divieti di tutti i tipi nelle città, nei condomini, nei parchi, nelle piazze contro i bambini.
Lanciamo, allora,  una sfida agli amministratori dei nostri comuni, chissà che non ne troviamo qualcuno intelligente
Pretendiamo che il comune dove viviamo protegga i bambini che giocano in strada, un comune che esponga, come è successo quest’anno in Trentino, nella piccola località della Val di Non, il cartello: 



"Attenzione, rallentare. In questo paese i bambini ancora giocano per strada”

Quello al gioco, a Sfruz (così si chiama il paesino), è ancora un diritto. Anche in mezzo alla strada, quando è tempo di giocare, in barba alla fretta degli adulti. 

Naturalmente , spazi e tempi vigilati. 



Perché non c’è dubbio, prima i diritti naturali dei bambini, poi la viabilità delle macchine. Non vi pare?  




Donata Albiero             26 ottobre 2017 
PS: Per la prima parte del mio post ho preso lo spunto  da un articolo, non meglio identificato in facebook che non riesco più a trovare . Mi era  piaciuto  perché mi ero  riconosciuta 

domenica 1 ottobre 2017

RILANCIAMO LO SCRIVERE A MANO IN CORSIVO


CORSIVO   ULTIMO ANTIDOTO AI TABLET

Il Corsivo Naturale                      https://youtu.be/oC7OGgPrPG4   


La capacità degli esseri umani di scrivere a mano in corsivo, sta scomparendo, non proprio nell’indifferenza generale, ma quasi. Tablet, computer, telefonini: hanno cambiato il nostro modo di scrivere, di percepire, di apprendere. In negativo, soprattutto se si guarda ai bambini e ai ragazzi.
In Finlandia, lo Stato ha deciso che non è più necessario insegnare la calligrafia agli studenti: in un mondo nel quale tutti scriveranno sempre di più su tastiere elettroniche è tempo perso.
Così anche in Indiana, negli Stati Uniti, la scrittura è diventata una materia facoltativa.  

I difensori di penna e foglio di carta, tra i quali mi inserisco, sono sempre meno. 
Gli scienziati che studiano l’evoluzione del cervello umano sono molto più preoccupati, come gli insegnanti e i genitori avveduti, per la progressiva perdita della capacità dei ragazzi di scrivere a mano. La scrittura non è innata, non è genetica, va insegnata.
Circa un terzo del nostro cervello si mette all’opera quando scriviamo a mano, molto di più di quando scriviamo sull’iPad. E’ forse per questo che ricordiamo meglio le cose scritte a penna: ogni ricerca ha confermato il legame tra la scrittura e la capacità di apprendere.

Le scuole italiane, purtroppo, si sono arrese, o cominciano a farlo.

Eppure, secondo diversi studi, la mancanza dell'uso del corsivo può avere effetti negativi sullo sviluppo del cervello.

 “Oggi non si gioca più in strada, non ci si arrampica sugli alberi, non ci si allaccia le scarpe, non si corre e salta, non si infila un ago. Si premono tasti, o si tocca uno schermo, tutte cose che richiedono l’uso di altri muscoli rispetto a quelli per tenere in mano una penna, e che non consolidano la coordinazione necessaria a scrivere in corsivo”(Stephanie Muller, pedagogista)

“In termini di costruzione del pensiero e delle idee, c’è un rapporto importante tra cervello e mano. La scrittura manuale legata accende massicciamente   aree del cervello coinvolte anche nell’attività del pensiero, del linguaggio, e della memoria” (Virginia Bermnger, Università di Washington)
 Tali studi evidenziano che l'importanza del corsivo va oltre la sua utilità pratica, risultando cruciale nello sviluppo e nella crescita dei bambini.

E negli Stati Uniti si è aperto un vero e proprio dibattito sul corsivo e sulla sua importanza. Tanto che nove Stati, fra cui California e Massachusetts, lo hanno reinserito come materia di studio a scuola. 

Secondo Federico Bianchi di Castelbianco, psicoterapeuta dell'età evolutiva, la perdita del corsivo potrebbe essere alla base di molti disturbi dell'apprendimento "Scrivere in corsivo vuol dire tradurre il pensiero in parole, scrivere in stampatello vuol dire invece sezionarlo in lettere, spezzettarlo, negare il tempo e il respiro della frase. E il corsivo così come lega le lettere lega i pensieri".

L’appello della pedagogista Giuliana Ammannati è deciso: “Bisogna tornare a scommettere sul corsivo. Insieme al gioco, il gesto grafico è uno strumento di formazione della personalità e in quanto comportamento espressivo, oltre che di una valenza pedagogica, l’attività grafica è portatrice di una valenza diagnostica pronta per essere utilizzata dal pedagogista clinico.”

 Fa riflettere che il più grande innovatore del mondo digitale all'università avesse scelto di seguire proprio un corso di bella calligrafia. Questo pioniere era Steve Jobs che nelle aule del Reed College, prima di fondare la Apple, imparò a scrivere in corsivo, con eleganza, senza errori né sbavature. 

E allora?
Io sono per l’insegnamento del corsivo da sempre e invito le scuole primarie a farlo scrivere, oggi come e forse piu’ di ieri.                                                   Il corsivo è la forma di scrittura a mano più evoluta, quella in cui le forme sono eseguite con il minor numero di tratti e sollevamenti di penna, consentendo al pensiero di fluire sul foglio. La scrittura a mano è intimamente legata alla espressione della persona e può affiancarsi naturalmente all'uso di strumenti elettronici, ampliando così i linguaggi e i mezzi espressivi

Mi permetto una digressione riguardante il metodo.           
 Senza voler insegnare niente a nessuno, porto la mia esperienza diretta, sia pure di molti anni fa: non presenterei come maestra i caratteri grafici nell’ ordine di stampato maiuscolo, stampato minuscolo (script), corsivo maiuscolo e corsivo minuscolo, come imparai io quando ero piccola (più di mezzo lustro fa).  
Semplificherei.                                
 Ricordo che il modello di scrittura corsiva che ho utilizzato io come maestra a scuola, in una prima elementare, tra l’altro alla mia prima esperienza lavorativa, lo chiamavo “facilitato“(credo che coincidesse con quello chiamato dagli esperti ”italico”).  Si articolava in forme le più semplici possibili: era  la legatura che differenziava  il minuscolo slegato (o stampatello minuscolo) dal minuscolo legato o corsivo, mentre le tradizionali maiuscole del corsivo inglese - così difficili da apprendere e da leggere – venivano  rimpiazzate dalle forme dello stampatello maiuscolo. In questo modo rendevo tutto più facile e intuitivo e  insegnavo ai bambini solo due alfabeti: uno maiuscolo e l’altro minuscolo (anziché i quattro tradizionali: stampatello maiuscolo, stampatello minuscolo, corsivo maiuscolo, corsivo minuscolo).                                                              Adottando questo modello era, ed è, infatti possibile presentare un unico alfabeto minuscolo che diventava corsivo grazie all’aggiunta di tratti che legavano le lettere tra loro, risparmiando mesi di lavoro (Il gioco che faceva divertire tanto i piccoli a scuola era quello di legare le letterine senza mai staccare la penna dal foglio). 

Ritornando a ciò che mi interessa, lo scrivere in corsivo, porto la voce autorevole di Franco Frabboni, ordinario di Pedagogia all'ateneo di Bologna e presidente della Società Italiana di Scrittura:  

«La grafia, il corsivo sono veicoli e fonti di emozioni. Tradiscono la personalità, lo stato d'animo... L'abbandono della scrittura a mano porta a una scarnificazione del messaggio, lo vedo spesso nelle tesi dei miei studenti, povere, troppo brevi, dove la sintesi non è un pregio ma una incapacità di sviluppare il pensiero. Quasi sempre nelle mie lezioni faccio fare esercizi di scrittura, invito gli studenti a scrivere di sé, a raccontarsi, a confrontarsi con la propria biografia. E noto difficoltà crescenti».

«Tornare all'insegnamento della scrittura in corsivo è una battaglia fondamentale. Anche perché l'altra faccia di questa metamorfosi è la perdita della lettura. Sono due vasi comunicanti. Se non si impara il corsivo, i suoi tempi, la sua musicalità, come si farà a concentrarsi sulle parole di un libro? È chiaro che il computer è oggi una nostra appendice, un pezzo del nostro pensiero. Ma è un pensiero binario mentre la scrittura a mano è ricca, diversa, individuale, ci rende uno differente dall'altro. Bisognerebbe educare i bambini fin dall'infanzia ad annotare i propri pensieri, a capire che la scrittura è una voce di dentro, un esercizio irrinunciabile, mentre il computer è un mezzo, utilissimo per molti aspetti, ma pur sempre uno strumento di cui servirsi in base alle esigenze e non a cui asservirsi».

Ecco, confido nella scuola, per non perdere definitivamente il corsivo.  

A quanti interessati alla problematica consiglio la lettura di un manuale  Il corsivo encefalogramma dell’anima, Editore La Memoria del Mondo, 2017,  curato da Irene Bertoglio (grafologa, perito grafico giudiziario) e Giuseppe Rescaldina (noto psicologo, già autore di pubblicazioni scientifiche ) spiega il valore psicologico del "corsivo", anche attraverso analisi scientifiche.
                                                                                    
Ne vale la pena.


Donata Albiero