IL CASO DI
CONTAMINAZIONE DA PFAS NEL VENETO
In tempi di
coronavirus, sicuramente, la tesi di Chiara Silva (Milano) che mi è stata da poco spedita, sui conflitti
socio-ambientali in un determinato territorio e i diritti fondamentali negati
ai cittadini, fa riflettere.
Fa da cassa d risonanza
il caso specifico raccontato, che ha riguardato e riguarda tutt’ora il Veneto, l’inquinamento
idrico causato dalle sostanze perfluoroalchiliche (i cosiddetti “PFAS”), che
rischia ora di venire accantonato e minimizzato di fronte alla emergenza
Covid-19
Apprezzabile, tra i vari capitoli, quello riguardante la speranza nella scuola per attivare la cittadinanza attiva, trovando e innescando soluzioni efficaci alla delicata questione della contaminazione da PFAS.
“L’informazione
e la partecipazione: il progetto di “Zero PFAS” nelle scuole
Ovviamente, prima di giungere ad una completa e diffusa
partecipazione, è essenziale garantire innanzitutto l’informazione e la
comunicazione (temi caratteristici del primo pilastro della Convenzione di
Aarhus).
Il problema di contaminazione da PFAS nel Veneto, si può
affermare che una parte molto attiva della cittadinanza abbia cercato di
raggiungere questi principi in diversi modi. Infatti i comitati e i movimenti
anti-PFAS non si occupano solo di organizzare manifestazioni o cercare di
raggiungere direttamente le autorità e le istituzioni, ma ritengono che sia
fondamentale diffondere un’adeguata informazione; questo è il punto di partenza
da cui si può poi ottenere una maggiore presa di coscienza da parte della
popolazione e, di conseguenza, una cittadinanza più attiva. Un’azione molto
importante sotto questo punto di vista consiste nell’accurato lavoro effettuato
dal gruppo “Zero PFAS”, guidato dalla Dottoressa Donata Albiero e portato
avanti da numerosi volontari, esperti, dottori, genitori che si sentono molto
coinvolti in questo problema e che cercano di estenderne la conoscenza ad altre
persone, in particolare ai giovani.
Come afferma la Dottoressa Albiero
-coordinatrice del gruppo educativo nonché promotrice e animatrice
dell’iniziativa - l’idea di portare il progetto nelle scuole nasce dal
desiderio e dalla profonda intenzione e volontà di rendere i ragazzi
protagonisti attivi e visibili, una risorsa per la cittadinanza ed il
territorio.
Il progetto (dal nome “Salvaguardare la salute
minacciata dalla contaminazione PFAS nelle falde e nelle acque superficiali del
Sud Ovest Veneto”) è approdato nelle scuole secondarie di primo e di
secondo grado delle province maggiormente contaminate (Padova, Vicenza e
Verona) a partire dall’anno scolastico
2018/2019. L’obiettivo generale consisteva nel cercare di coltivare il
senso di responsabilità per rendere attivo il cittadino e nel creare la
consapevolezza relativa alla difesa dell’ambiente, elemento fondamentale per
poter proteggere anche la salute umana. Esso prevedeva innanzitutto delle
lezioni in merito al problema di inquinamento da PFAS, per diffondere
informazioni e conoscenze più approfondite. Dopodiché spettava ai ragazzi
attivarsi in prima persona: venivano proposti lavori di gruppo, analisi di
casi, problem solving, brainstorming, per cercare delle soluzioni utili ed
efficaci alla questione PFAS. Il lavoro relativo a questo primo progetto (esso
infatti è stato riproposto anche per l’anno scolastico successivo) prevedeva la
somministrazione ai ragazzi di un questionario riguardante le conoscenze
generali in materia di PFAS, di storia dell’inquinamento sul territorio veneto,
della responsabilità di istituzioni ed abitanti e dell’importanza della
cittadinanza attiva. Il questionario era da compilarsi prima di aver
partecipato alle lezioni e ai corsi previsti dal programma. In questo modo gli
educatori prendevano visione del livello di conoscenza degli studenti e
capivano come il lavoro avrebbe dovuto essere impostato. I risultati emersi
furono preoccupanti: solo il 20% risultò veramente interessato al problema e
abbastanza informato in merito ad esso (gli alunni maggiormente a conoscenza
della situazione risultarono quelli dell’istituto tecnico agrario Trentin di
Lonigo, in quanto molti di essi risiedono nella “Zona Rossa”); la restante
parte mostrava un alto tasso di disinformazione, legato ad un altrettanto
elevato livello di disinteresse; il problema sembrava non riguardare loro o
comunque ai loro occhi non pareva così grave (questa era un’ulteriore conferma
di quella che Sandini aveva definito “una cittadinanza perlopiù indifferente”).
Il tutto era aggravato dal fatto che le conoscenze che gli studenti riportavano
nelle domande del questionario derivavano specialmente dai mass media,
strumenti di comunicazione e di informazione utili alla conoscenza del
problema, ma che spesso non presentano in maniera adeguata gli effetti e la
gravità dello stesso: essi talvolta cercano di arginare le preoccupazioni dei
cittadini, descrivendo il caso in questione come un problema per cui non c’è
bisogno di allarmarsi e di preoccuparsi, in quanto sotto controllo.
Anche
l’informazione data dai genitori ai figli era molto limitata. Durante gli
interventi nelle scuole, di un’importanza fondamentale è stato il metodo
proposto dai numerosi volontari che si sono occupati di parlare ai ragazzi. Il
Dottor Giovanni Fazio - medico di ISDE e cittadino molto attivo, nonché uno dei
volontari del progetto - ha trovato opportuno rivolgersi agli studenti parlando
direttamente non solo a loro,
ma anche di loro. Ha spiegato
in maniera diretta e dettagliata i problemi di salute derivanti dall’azione dei
PFAS, ponendo l’accento sul fatto che essi possono generare malattie e
patologie che non sono ipotetiche o lontane nel tempo, ma che sono attuali e
riguardano loro, la generazione di oggi. Secondo il Dottor Fazio infatti è
molto importante puntare alle emozioni delle persone per giungere ad una
maggiore sensibilizzazione. Il progetto prevedeva inoltre delle assemblee
organizzate con i genitori dei ragazzi, dove si cercava di estendere anche a
loro la consapevolezza del grande rischio portato dai PFAS, pericolo che
sembrava inizialmente sottovalutato dalla grande massa di cittadini, convinta
che tali sostanze non fossero una minaccia, o meglio, che fosse una questione
che non li riguardava direttamente. Come testimoniano i coniugi Albiero e Fazio
però, la partecipazione dei genitori a questi incontri è stata scarsa.
Fortunatamente coloro che sono sempre stati presenti mostravano un elevato
interesse per la vicenda e hanno preso parte attivamente, esponendo la loro
irritazione nei confronti delle istituzioni, considerate colpevoli di non aver
mai messo in pratica il principio di precauzione e di non aver mai promosso una
campagna informativa adeguata e soprattutto veritiera.
I promotori di questo progetto hanno avuto
un riscontro molto positivo: sono riusciti a raggiungere più di
millecinquecento giovani, hanno visto gli studenti impegnarsi molto ed
esprimere in modo creativo idee innovative di soluzioni al problema di
contaminazione. Sono stati proposti vari metodi di diffusione di conoscenza ed
informazione: cartelloni pubblicitari, volantini informativi, giornaletti
scolastici, addirittura la proposta di una redazione locale chiamata “TG PFAS”
con i compiti di attirare l’attenzione e mettere in allerta i compagni. Persino
gli insegnanti delle varie scuole in cui è approdato il progetto si dicono
complessivamente molto soddisfatti dell’iniziativa: si è trattato di
un’occasione molto importante perché ha rappresentato un motivo di crescita
personale ed un elemento di miglioramento anche del percorso di studio. Molto
soddisfatta e sorpresa si dice anche la Professoressa Albiero che è sempre
stata presente ad ogni incontro con i ragazzi e non ha nascosto la sua
contentezza nel vederli così partecipi, attivi e vogliosi di trovare soluzioni
efficaci ad una questione così delicata.
Il progetto ha avuto un feedback talmente
positivo che si è deciso di riproporlo anche per l’anno scolastico 2019/2020. Sono state contattate numerose scuole
sempre delle tre province maggiormente interessate al problema (anche se in
questo caso le scuole della provincia di Verona non hanno più aderito al
progetto). Nonostante ciò la Dottoressa Albiero ha ricevuto richieste ed è stata
più volte contattata da diversi istituti della provincia di Venezia, toccata
anch’essa dal problema, dato che quantità rilevanti di PFAS sono emerse
recentemente anche nella laguna. Ancora una volta il progetto (intitolato “PFAS
in Veneto. I rischi per la salute sono reali: conoscere per capire e agire”)
si pone come obiettivo principale la sensibilizzazione dei cittadini di fronte
al tema dell’inquinamento da PFAS e la creazione di un sentimento di
responsabilità delle singole persone che possono partecipare in modo più attivo
alle decisioni che riguardano loro stesse. Agisce attraverso corsi nelle
classi, assemblee di istituto con alunni e docenti, incontri con i genitori dei
ragazzi per renderli maggiormente consapevoli sulle attuali criticità ambientali.
Dietro a questa nuova iniziativa c’è ancora una volta un grande lavoro di
preparazione da parte dei volontari, che operano per cercare i metodi e gli
strumenti adeguati ad affrontare un problema di questo calibro e ad analizzare
la realtà.
La novità
dell’anno scolastico 2019/2020 consiste nel mostrare agli studenti il
documentario “The Devil We Know”, nato inizialmente come progetto
linguistico di traduzione (promosso e coordinato dalla professoressa di inglese
Stefania Romio, insegnante nell’Istituto Boscardin di Vicenza che ha riguardato
alcune classi terze) e divenuto poi strumento fondamentale di informazione per
la vicenda. Il documentario infatti tratta della contaminazione da PFAS
avvenuta in West Virginia, USA, di cui il principale responsabile è il colosso
DuPont (che dovrà pagare un risarcimento di oltre seicentosettanta milioni di
dollari per i danni causati alla salute delle persone e all’ambiente).
Un altro argomento molto importante su cui
il nuovo progetto si vuole concentrare consiste nel diritto spesso negato alla sicurezza alimentare: l’Istituto
Superiore di Sanità ha effettuato dei controlli in molte aziende alimentari
della Zona Rossa ed è risultata la presenza di elevatissime quantità di PFAS
nella carne bovina e suina, nel latte e nelle uova (questo deriva dal fatto che
gli animali si abbeverano dalle acque provenienti dalla falda che sono
contaminate e di conseguenza le sostanze chimiche entrano e permangono nel loro
organismo). I prodotti provenienti da tutte queste aziende (ad eccezione dei
pesci dei fiumi e delle rogge che sono risultati immangiabili per gli altissimi
livelli di PFAS nel loro organismo e per i quali è stato decretato anche un
divieto di pesca) non sono mai stati ritirati dalla Regione, ma hanno
continuato (e continuano tutt’ora) ad essere venduti sul mercato, nonostante
l’accertata presenza di sostanze inquinanti al loro interno. Inoltre non è mai
stata effettuata nessuna mappatura dei terreni e tanto meno dei prodotti
agricoli e di allevamento; nella maggior parte dei casi i cittadini non sono a
conoscenza della presenza di PFAS negli alimenti in quanto non viene riportata
sui prodotti nessuna informazione in merito ad essi. Uno degli obiettivi
consiste proprio nella diffusione di tutte queste informazioni, nel tentativo
di sensibilizzare non solo i ragazzi, ma anche le famiglie nelle scelte
alimentari che li riguardano.
Il progetto si basa su una grande convinzione: questo mondo appartiene ai giovani e sono
proprio loro che con le loro scelte contribuiscono a modificare il presente e
hanno strumenti per poter migliorare il futuro. Grazie a questo intenso
lavoro che è stato e viene tutt’ora effettuato ogni giorno da volontari,
insegnanti, medici, geologi e da comuni cittadini fortemente interessati alla
questione, i ragazzi hanno capito che cosa significa conoscere il territorio e
i problemi che si manifestano su di esso, battersi per i loro diritti,
difendere la propria salute e non fermarsi mai di fronte alle ingiustizie.
Questo non toglie il fatto che anche i cittadini che hanno a cuore la tutela e
la salvaguardia dell’ambiente e sono preoccupati per la propria salute e quella
dei propri figli, possano con le loro azioni apportare contributi essenziali”.
Personalmente
ringrazio Chiara per il lavoro svolto.
Qualche inesattezza di date riportate (il gruppo mamme ha iniziato la
propria attività nel 2017) o l’assegnazione sbagliata del titolo accademico a
un relatore, il privilegiare determinate voci del territorio con cui si sono
realizzate le varie interviste alle altre ‘grandi’, importanti voci di attivisti non incontrate e che stanno facendo la storia
del movimento No PFAS, non scalfiscono
l’importanza del racconto …”ad imperitura” memoria.
La tesi
Donata
Albiero 29 maggio 2020
Nessun commento:
Posta un commento