Un
buon insegnante colpisce per l’eternità; non può mai dire dove la sua influenza
si ferma (Henry Brooks Adams)
Ho aspettato a lungo prima
di esprimere le mie considerazioni sull’ insegnamento a distanza per le Scuole,
resa in pratica obbligatoria dal Ministero, nel momento eccezionale in cui esse
sono state chiuse per il ‘coronavirus’. Non sono una sprovveduta e parlo conoscendo
la situazione oggettiva in cui versano le scuole d’Italia
Non volevo prendere posizione in un momento
così critico, oserei dire impensabile, ma tant’è. L’isolamento e l’immobilismo
a casa, lontana da quattro nipotini costretti anch’essi ai ‘confini domiciliari’
senza gli amichetti della scuola infanzia, o primaria o asilo nido, senza
nemmeno la compagnia dei nonni anche se ben compensati dalla presenza delle
rispettive mamme, a casa senza stipendio perché lavoratrici autonome, può
essere l’occasione di riflessioni serie, anche se espresse in qualità di
semplice cittadina.
Il
diffondersi del contagio del virus
Covid-19 ha toccato tutti gli aspetti della nostra esistenza per le drastiche misure adottate, compresa la
scuola, con l'interruzione delle normali attività didattiche e l’invito, poi
obbligo, a sostituire le lezioni tradizionali con forme di apprendimento a
distanza.
Il mondo della scuola (non
tutto) che fino a questo momento aveva concentrato la propria attenzione su
strumenti tecnologici da utilizzare in classe come Lim e Tablet ( lo so bene
avendo dotato la mia ex scuola del Nord, ricca ed efficiente, di Lim per ogni
classe oltre che di laboratori informatici
per ogni plesso e di registri elettronici (parlo già di nove anni fa) si
rende conto che quegli strumenti, se davvero li ha, possono essere
insufficienti, che il personale , in gran parte, non è preparato all’uso delle nuove tecnologie per la
didattica e della didattica a distanza.
In un momento di emergenza mondiale quale quello che stiamo
vivendo, di bambini e ragazzi privati della routine scolastica, dei loro
compagni, chiusi in casa, non c’è spazio a critiche sul fare o non didattica a
distanza, ben consapevoli delle difficoltà che ciascuno si trova ad
affrontare.
E' una fase troppo delicata.
La scuola è “presidio dello Stato” e deve
continuare, in qualche modo, la sua funzione.
Con responsabilità e realismo dobbiamo coniugare le necessità con le possibilità, per fare in modo che da questa situazione di crisi la Scuola italiana non ne esca peggio di come vi è entrata, né che la Scuola abdichi , sic et simpliciter, al suo ruolo.
Ci sono dei passaggi
interessanti nella lettera (esageratamente retorica in certe affermazioni, catalogando
i docenti “eroi anonimi”) della ministra Azzolina rivolta al
personale scolastico quando scrive: "La didattica a distanza sta diventando una risorsa (così come lo è sempre stata nella scuola in
ospedale) che sopperisce all’impossibilità di fare lezione in presenza, e sta
permettendo a docenti, ragazzi e famiglie di riscoprire una vicinanza, una
collaborazione ed un’alleanza che sono ancora più preziose di fronte al senso
di incertezza che comprensibilmente tutti sentiamo".
Come non essere d’accordo?
Attenzione però: la didattica a distanza può essere non democratica, non raggiungere tutti. Il divario digitale tra scuole, tra singoli alunni può, di fatto, significare divario sociale e a scuola, oggi, ce n'è purtroppo già troppo (scuola aziendalista, scuola degli sponsor privati, scuola delle competenze).
Ogni insegnante deve, perciò, lavorare, con ogni mezzo a disposizione, perché tutti, dai più piccini ai più grandi, non perdano il contatto con la scuola dalla quale, come diceva don Milani "attendono di essere fatti uguali".
Ecco, io non vorrei che in questa emergenza, in questi mesi, si creassero scuole di sere A e scuole di serie B; scuole preparate e super organizzate , in cui gli studenti sono quasi tutti pronti e autonomi per recepire il nuovo tipo di istruzione e scuole che per mezzi e platea , rischiano seriamente di compromettere il percorso scolastico di molti studenti.
Ritorno a un punto della lettera del Ministro che approvo.
“In questi momenti
difficili ciò che guida la nostra azione è il buon senso: i docenti conoscono le loro classi, sanno anche come
stimolare e valutare ogni singolo alunno, conoscono il vissuto dei loro
allievi, il percorso che hanno fatto …Questo è il momento di ricorrere alle nostre migliori risorse,
perché l’eccezionalità della situazione lo richiede"
Tutti insieme, come
comunità educante, oltre
umane divisioni e personalismi.
“Insieme alle Istituzioni, a tutto il personale sanitario,
alla Protezione civile, alle forze dell’ordine, in questo momento anche la scuola è baluardo della democrazia,
custode dei diritti ed esempio per i cittadini.
Ecco
perché la scuola non si è fermata e non si fermerà”.
E allora che fare?
Certo,
all’inizio del ‘coronavirus’ e del cambiamento delle nostre routine quotidiane, ci si è sentiti spiazzati. Certo sicuramente ci sono delle criticità,
sicuramente manca la modalità che dia sicurezza nell’operare. Ci si destreggia con
la rete internet che funziona a singhiozzo, ma la didattica a distanza è un
mezzo in un momento così difficile e pieno di paure, per sostenere i ragazzi e
non farli sentire soli, per proseguire il percorso, per stare insieme.
E spiega, appunto“…l'uso di computer, piattaforme, cellulari ecc. è funzionale alla condizione di emergenza che obbliga gli insegnanti pur di avere ancora una relazione educativa a fare i conti con queste diavolerie in cui spesso sono capaci di più i loro alunni. Non servivano circolari ministeriali né i brontolamenti sindacali per promuovere questa didattica in emergenza (…)
E stato…un atto civico e al di fuori di tutte le leggi
del mostro-scuola che ha mosso gli insegnanti ad agire e ad inventarsi di
tutto. Cose buone o meno buone, ma un atto inatteso…Faremo i conti dopo, finita
l'emergenza su luci e ombre di questa esperienza. Ma certo l'ignoto virus ha
messo alla prova migliaia di insegnanti che hanno preso contatto col virtuale
facendo e non ascoltando (...). Tutto il resto è secondario e banale…”
Proprio così.
Quando tutto finirà, saremo ancora in piedi e la scuola sarà più forte. perché la scuola c'è, ci deve essere, sempre.
Donata Albiero
L'ultimo conflitto mondiale fu una drammatica esperienza da cui nacquero nuove idee che si incarnarono in una nuova dimensione della vita, dello Stato, della scuola, e della politica in quei paesi che ne erano usciti distrutti dalla guerra ma in grado di far valere nuovi valori e nuove esperienze, impensabili sotto i regimi fascisti e autoritari che avevano preceduto il conflitto.
RispondiEliminaIl Coronavirus ci costringe a nuove riflessioni, in primo luogo sul valore della salute e sul suo primato, sul valore della collettività e delle sue espressioni democratiche. I falsi miti del privato crollano di fronte alla capacità del servizio pubblico di affrontare, anche se ferito e disarmato, una situazione drammatica con senso di solidarietà, di efficienza e di abnegazione.
La pandemia ha scoperchiato tutte le fragilità e le manchevolezze del sistema. Da anni si parlava delle diseguaglianze delle strutture scolastiche tra Nord e Sud del Paese. Adesso è esplosa clamorosamente la consapevolezza della necessità di superarle e di abbattere le ideologie opportunistiche che si ammantavano di contenuti falsamente democratici, la voglia di autonomia in nome della quale si esercitava una violenza inaudita contro i bambini e i ragazzi che abitano nelle aree più disagiate e povere del nostro Paese. Nuove forme partecipative dal basso hanno spronato migliaia di insegnanti e di ragazzi a sperimentare una didattica fino ad oggi negletta e sconosciuta. L'azione ha sostituito la mancanza di risorse ed è diventata a sua volta la vera forza del Paese.
Una nuova prassi è già in azione, prodotto spontaneo della creatività dinamica di insegnanti e ragazzi, la nuova generazione che un sistema basato sul profitto pensava di spogliare di tutto, anche del diritto all'istruzione.
"Non avranno una pensione per sopravvivere" dicevano gli strozzini che addossavano ai padri e ai nonni, che per tutta la vita avevano lavorato, il disagio presente e futuro di chi si affacciava al panorama sconvolgente della vita che costoro avevano programmato per loro:
"Hanno vissuto al di sopra delle loro possibilità" dicevano quelli che si appropriavano quotidianamente della vita e del loro futuro. Non sapevano costoro che un popolo può riappropriarsi della propria vita e dei propri diritti e che le armi potentissime dei suoi nemici, tutto sommato, sono di carta.