IL TABLET NON SOSTITUISCE IL ... DOCENTE
Richiede
conoscenza e conoscenze, metodo e volontà, capacità didattica e relazionale,
apertura mentale e rigore, autorevolezza e autorità, empatia e distacco,
motivazione e gioia personale nel praticare l’insegnamento. Obiettivi
difficilmente raggiungibili in questi ultimi anni scolastici che ci fotografano
una realtà impietosa: classi fatiscenti, un numero elevato di studenti, risorse sempre insufficienti, incombenze burocratiche crescenti e contesti relazionali compromessi dalla percezione che studenti e insegnanti hanno della realtà esterna.
E’ difficile per un ragazzo essere tranquillo, motivato e mantenere
alta l’attenzione e la concentrazione, quando a casa la situazione è diventata
precaria per problemi di lavoro dei genitori. E’ complicato per gli insegnanti
mantenere alta l’affabilità e la disponibilità quando la vita scolastica è
sempre più noiosa e stressante, il reddito sempre meno incentivante e le
prospettive pensionistiche tendenti al nero pece.
In questo scenario, ci viene prospettata
una
"buona scuola", che, in quanto tale, deve essere all'altezza dei
tempi, "smart" e tecnologicamente avanzata. Ecco perché il MIUR
ha redatto ben due Piani nazionali per promuovere la "scuola
digitale", intervenendo finanziariamente sia nella fase dell'acquisto
dell'hardware (in particolare computer, tablet e Lavagne Interattive
Multimediali), sia in quella della formazione e
della diffusione di tecniche
didattiche adeguate a questo obiettivo.
Le nuove tecnologie, come aiuto alla
scuola obbligano ovviamente a ripensare la didattica
e il ruolo dell’insegnante, persona capace di insegnare ad imparare e di
motivare l’alunno a tirare fuori il meglio di sé.
Come
sempre, alla fine, la differenza è fatta dal docente.\\\\\\\\\\\\\\\\\\ SCUOLA CON IL TABLET
In didattica - lo so per esperienza
diretta- infatti, poco possono fare gli
strumenti, e moltissimo può fare una classe docente preparata,
anche ma non solo, all’uso delle nuove tecnologie. Un tablet può ugualmente
essere un buono strumento oppure un oggetto inutile; una fonte di distrazione e
la causa di un inaridimento della materia e della sua complessità, oppure una
porta per la scoperta dei possibili collegamenti tra le diverse materie; può
essere un invito all’approfondimento così come la scusa per distrarsi
facilmente.
La differenza, ripeto, la fa l’insegnante, esattamente come succede all’interno di una normale classe.
La necessità di interessare,
includere e coinvolgere i ragazzi – e a maggior ragione i bambini – è
sicuramente la prima emergenza nazionale, dal punto di vista della didattica.
Il tablet e, in generale, la digitalizzazione possono e devono essere uno strumento per trasformare le nostre classi in luoghi aperti alla società, in cui i ragazzi si sentano coinvolti anche attraverso quelle competenze che esercitano già fuori dalle mura scolastiche. La necessità di coinvolgere i ragazzi deve passare attraverso l’attivazione delle singole intelligenze, e non attraverso la somministrazione passiva di nozioni. E questo deve avvenire in una classe ‘normale’ così come in una super digitalizzata.
Negli ultimi anni di dirigenza scolastica
(me ne sono andata quattro anni fa) mi sono adoperata per fornire di lim, classe
per classe, i tre plessi della scuola media che dirigevo, Giuriolo di
Arzignano, nonché di un laboratorio di informatica plesso per plesso, di
computer personalizzati in classe per alunni in difficoltà, di strumenti
multimediali in ogni sala professori, avviando contestualmente corsi permanenti
di formazione per docenti, impreparati nella maggioranza dei casi.
La scuola dal punto di vista delle
strutture tecnologiche era all’avanguardia rispetto alla realtà scolastica della
provincia di Vicenza
Eppure, se devo esprimere il mio parere
sulla didattica … sto con Galimberti:
"Esorterei i
professori a usare meno il computer. A che serve? Gli studenti, nativi
digitali, ne sanno più di chi dovrebbe insegnare loro l’informatica. Ai ragazzi
internet fornisce, dopo anni di guerra al nozionismo, un’infinità di
informazioni slegate tra loro, ma non regala senso critico, connessione dei
dati e, quindi, conoscenza.
I maestri hanno
il compito di sviluppare il senso critico e mettere in connessione i dati. Questi
ragazzi bisogna educarli al sentimento per evitare l’analfabetismo emotivo: la
base emotiva è fondamentale per distinguere tra bene e male, tra cosa è grave e
cosa non lo è. E bisogna farli parlare in classe. Il linguaggio si è
impoverito. Si stima che un ginnasiale, nel 1976, conoscesse 1600
parole, oggi non più di 500. Numeri che si legano alla diminuzione del
pensiero, perché non si può pensare al di là delle parole che conosciamo. E la
scuola è il luogo dove riattivare il pensiero." (...)
Sto con Daniel Pennac il quale “ addirittura
consiglia di non fare entrare gli alunni in classe con ipad, cellulare e pc
poiché questi mezzi favoriscono la fuga dall’esperienza relazionale che costituisce
il fondamento dell’esperienza educativa. Pennac si preoccupa della formazione
come cittadino consapevole e autonomo, dell’apprendimento possibilità di fare
emergere una soggettività critica per combattere la trasformazione dell’alunno
in consumatore asservito ad un sistema alienante che uccide ogni capacità di
essere per davvero libero.
Pennac, dalla
sua esperienza d’insegnante e anche di alunno “difficile” , vede nella
relazione l’essenza del processo educativo – in questo la presenza pervasiva
dell’oggetto digitale rappresenta un ostacolo che spinga all’autoisolamento e
non all’apertura all’altro -, considera anche l’importanza dell’incontro con
l’adulto consapevole e attento pedagogicamente……” (A.
Gussot)
Chiariamoci.
Il vero problema non è la dotazione tecnologica delle
scuole, ma l'impiego che se ne fa. Una
scuola con tablet per ogni alunno e docente e LIM in ogni aula non offre di per
sé un migliore apprendimento rispetto a un'altra che non ne è dotata.
Il problema principale è costituito dal rapporto che
gli insegnanti italiani hanno con le ICT. Per la stragrande maggioranza, quando
va bene sono totalmente impreparati a integrarle nel loro modo di lavorare,
mentre nella peggiore delle ipotesi ne sono addirittura terrorizzati (Mi
riferisco alla mia esperienza diretta a scuola fino alla fine del 2012) Per essere davvero efficace, l'uso delle
tecnologie nell'insegnamento (e in qualsiasi altro lavoro) dovrebbe essere
essenzialmente spontaneo, ovvero percepito come un reale valore aggiunto. E qui
gioca un ruolo fondamentale la formazione ad hoc… Dovrebbe puntare innanzitutto
a costruire la consapevolezza delle potenzialità delle ICT, che andranno
comunque e sempre integrate in maniera autonoma e personale dal docente nel
proprio metodo di insegnamento.
Spetta al solo docente
la capacità di insegnare – sfruttando al meglio le nuove tecnologie
compreso il libro digitale – ai ragazzi a essere creativi, autonomi e
protagonisti attraverso il lavoro di gruppo.
Il
Piano Nazionale Scuola Digitale (PNSD) adottato dal MIUR, con D.M. 851 del 2015
dovrebbe procedere in tal senso.
Se sono rose fioriranno.
Donata Albiero
Riflessioni a margine
Riflessioni a margine
Nessun commento:
Posta un commento