Cuncti una gens sumus.
A volte la poesia tocca corde più profonde del sentire rispetto alla
ragione.
CADRANNO
Avanzano
Verso l’ignoto
Donne e bambini di Kiev
Con coperte,
Bagagli di pianto e di assenza.
Fuggono da un destino scritto da altri,
Uomini che giocano alla guerra.
Scheletri di palazzi
Macerie.
Dalle fosse dimenticate di Katin
Flebile
Giunge un antico pianto
Nelle strade tormentate di Bucha.
Orde mongole Irrompono
Dalle avide pagine
Dei giornali occidentali.
Mister H. Himmler
Ci guarda dal suo ufficio ben curato.
Fuggono nella notte
Verso un chiuso destino.
Attraversarono il mare
Per approdare nel nulla.
A Lesbo il tempo si è fermato;
Guardie feroci controllano
I recinti spinati.
Nel freddo inverno d’Anatolia
sfioriscono le rose del ricordo
dei giardini
profumati di Aleppo.
Dove sono adesso
I gelsomini?
Dove i canti e le danze
Nei matrimoni
Delle ragazze in fiore?
Occhi neri e profondi
di bambini di Siria,
Piedi nudi sui ciottoli appuntiti,
Smarrirono per strade senza nome
L’ infanzia trafugata.
Per quanti giorni,
Lungo aspre gole
E incandescenti, gelidi deserti
Ingannati ragazzi
Invocarono le sponde dell’America.
Un esercito in fuga
Li abbandonò, dimentico,
Nell’arida terra martoriata
Dei papaveri e dei duri Talebani.
Fuggirono, ingloriosi,
Gli eserciti
dalla Corea,
dal Viet Nam,
dall’Iraq e Damasco,
come è loro costume,
incalzati da sempre dalla storia.
Lasciarono
dietro di loro
Infamia e rovine
E il disumano segno del loro disonore,
di esportatori di democrazia,
ladri di giacimenti in terre altrui.
Esplosero,
fiori di fuoco,
Sulle bianche dimore di Tripoli.
Da quel seme
Ai margini dell’infuocata Sirte
nacquero nuovi lager.
Ammassi di carne sofferente
Attendono nei giorni senza tempo
La fine del martirio quotidiano.
Entrano, nel buio della notte,
Attraverso duri cancelli di ferro
Uomini armati
In cerca
Dell’abusato ventre delle prigioniere.
Nessuno vede l’orrore
Nessuno sente il pianto
Delle ragazze.
Solo a Nord Est
Sanno guardare gli occhi
Del pietoso Occidente.
Di ebano hanno la pelle,
Purissima seta dagli argentei riflessi.
Fuggono dalla miseria delle periferie urbane,
Dalle megalopoli nere,
Dai grandi fiumi
Nelle inospitali foreste.
Sopravvissero all’arsura del deserto
e al disprezzo degli uomini.
Ora giacciono assenti
In un groviglio
di corpi e di disperazione.
Un Mediterraneo di morte
Sarà la loro ultima meta.
A fondo,
sempre più a fondo,
Stringendo tra le braccia
I teneri frutti della violenza.
Non vedranno mai
Le bianche rive di Lampedusa,
sponde ostili di un’Europa
che accoglie solo
esuli dagli occhi azzurri.
Nella prigione di Belmarsch
Consuma i suoi giorni
Julian Assange.
Tutte le notti
L’aquila di Joe
Gli divora il fegato.
Tutti i giorni
Nelle eterne ore
Del carcere,
Dimenticato dal mondo,
Consuma nel nulla,
Da anni,
La vita e l’attesa.
Il disonore USA
Pretende la propria vendetta
Sporca di petrolio.
Non ci saranno
Campi di concentramento,
né stupri di carcerieri,
né attraversamenti di mari in tempesta.
I Can't Breathe.
Non faranno la fine di George Floyd
I neri d’America
E i bambini
Non avranno il cuore trafitto
Da un proiettile israeliano
A Gaza,
Sotto un cielo di metallo ardente,
dove si infrange
il destino di un popolo morente
lungo il confine
Che chiude ogni varco alla speranza.
La nostra barbarie quotidiana
Si esprime anche così.
Morire a quindici anni
è l’unica chance concessa dalla knesset.
Cadranno le mura di Gerico
E tutti i muri e le muraglie del mondo.
Un giorno
Cadranno
E non ci saranno più patrie
Né confini
Da difendere
Cadranno!
Cuncti una gens sumus.
Giovanni Fazio
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