Il tempo stringe. Ricomincia la scuola
“Il trauma del Covid 19 ha colonizzato pesantemente la vita collettiva. Una calamita mortifera ha bloccato le nostre energie e le nostre risorse. Ne è un esempio emblematico e drammatico quello della scuola. Tutto il dibattito attuale sul suo presente e sul suo futuro appare integralmente assorbito dal problema della sicurezza” (Massimo Recalcati).
Il fatto che della scuola, durante la pandemia si sia parlato tanto, dal 2019 al 2021, ma anche tanto male, e che non siano stati adottati studi di fattibilità e piani alternativi alla chiusura (se non la DAD, di cui ho già espresso il parere negativo in altri post), ha evidenziato quello che all’apparenza sembrerebbe un grave vuoto politico sul tema.
Si è deciso – o si è lasciato – che la scuola fosse sacrificata agli
interessi e alle necessità produttive, in linea con il pensiero dominante per
il quale il benessere delle imprese è considerato motore del
benessere della società, e la scuola debba svolgere un ruolo funzionale al mercato. Pertanto, secondo questa
visione, essa è subordinata ai trasporti, al mercato delle vacanze, alla
contingenza delle strutture fatiscenti, alla logica del weekend, (concentrando
tutto in cinque giorni), all’occupazione del personale scolastico, agli
interessi concreti delle aziende. Mentre, al contrario, la società dovrebbe
provvedere primariamente al benessere della scuola intesa come diritto
all’istruzione per il quale anche le misure di prevenzione anti Covid 19 dovrebbero
essere prese col criterio della compatibilità e non della subalternità.
Nei
mesi di chiusura della scuola e/ o in quelli della didattica a distanza, sono stati messi in risalto ed esasperati i
problemi della scuola pubblica, evidenziati dalla contingenza pandemica: aule pollaio,
banchi a rotelle, personale insufficiente, strutture vecchie e cadenti, insegnanti poco idonei all'insegnamento,
tecnologia obsoleta, amministratori di aziende pubbliche più che dirigenti
scolastici, genitori che legiferano in chat...
Quale “ricostruzione” vogliamo per essa? I suoi problemi ‘atavici’ sono rimasti lì, camuffati dalla risoluzione green pass e dalla competenza digitale.
Il problema è più generale e radicale insieme: “… quale centralità la scuola sarà in grado di affermare nel tempo della ricostruzione? Il suo futuro sarà ancora una volta sbarrato, senza risorse, relegato ai margini di una rappresentazione del Paese che può fare a meno dell’istruzione, della formazione e della ricerca?” Se lo chiede Recalcati, me lo chiedo anch’io da operatrice a lungo corso nella scuola.
“E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che limitano di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini (art 3)”
“La Repubblica detta le norme generali dell’istruzione e istituisce scuole statali per tutti gli ordini e grado (art 33) “
"La scuola è aperta a tutti. L’istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni è obbligatoria e gratuita (art 34)”
In realtà, secondo me, la posta in gioco investe il ruolo della scuola, la sua autonomia, ovvero la possibilità che la scuola rimanga un luogo in grado di non arrendersi al pensiero unico che la finalizza alle logiche del Mercato. La scuola pubblica, nel futuro imminente, dovrà necessariamente essere, quella concepita dalla nostra Costituzione, laboratorio di democrazia, di cittadinanza attiva, di autonomia intellettuale, fucina di idee.
La
difesa della scuola pubblica è la punta di diamante della nostra difesa dello
Stato di Diritto. Confido principalmente negli studenti.
Con tale consapevolezza aspetto il nuovo anno scolastico .
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