Violenza, non è nella scuola la radice del problema
Cresce la violenza a scuola, è un fatto.
Ragazzi bullizzano ragazzi, ragazzi
bullizzano insegnanti, insegnanti bullizzano ragazzi, genitori bullizzano insegnanti, insegnanti bullizzano
genitori, genitori bullizzano ragazzi.
C’è qualcosa che non va, è
indubbio. Ma io insisto, la violenza a
scuola è soltanto il riflesso
di una violenza generalizzata che c'è nella nostra società e che tutti
respiriamo.
E mi soffermo sulla questione che riguarda
i ragazzi
L’aggressività dei giovani, il loro vivere
senza limiti, la loro impulsività, è il prodotto di una società in
trasformazione, che in parte non ha saputo trasmettere, nella famiglia e nella
convivenza civile, autocontrollo, autorevolezza e rispetto delle regole, che
non ha saputo proporre modelli costruttivi, che non ha saputo dare loro
l’attenzione necessaria ed evitare quelle modalità educative che hanno invece
rinforzato gli atteggiamenti trasgressivi.
Le analisi
degli “esperti” portano tutte alle medesime conclusioni: i giovani non sono più in grado di reggere lo stress e sopportare
l’insuccesso; i genitori sono diventati troppo protettivi e concedono tutto ai
figli, difendendoli a oltranza anziché punirli quando necessario; la scuola da
parte sua ha perso prestigio e autorevolezza, e così pure chi vi lavora. E
potrei continuare.
Come ho
ribadito in più occasioni, la violenza
non nasce nei microcosmi della scuola o della famiglia, che ne sono semmai i
terminali ultimi, ma è la filigrana vera e propria della società contemporanea.
I giovani
respirano quotidianamente violenza senza accorgersene, e poi la vomitano perché
è un veleno che intossica l’anima.
Di fatto, la scuola diventa sempre
più il luogo dove le frustrazioni e le contraddizioni presenti nella società
emergono in maniera drammatica.
Alla scuola viene chiesto di
sopperire a tutte le carenze di una società in crisi di identità, investendola
di carichi e richieste che esulano dalla sua mission istituzionale di agenzia
pedagogico-formativa.
La scuola
ogni giorno è in trincea ma il nemico contro cui combattere non è il genitore
manesco o il ragazzo indisciplinato o il docente autoritario.
A far chiudere i pugni sono i continui
incitamenti al successo a tutti i costi, all’indegnità dello sconfitto,
all’individualismo competitivo e cinico, l’ansia soffocante di controllo,
l’ingiustizia troppe volte impunita, il veleno dell’ “è tutto uguale, una cosa
vale l’altra”.
Ma, c’è un
ma che delinea le nostre responsabilità di adulti
Non parliamo (ascoltiamo) più i giovani, neppure i nostri figli. Perché
anche noi ormai parliamo la sola lingua comprensibile alla mente della nostra
società: il denaro, i consumi, la crescita economica.
E diventiamo sempre più egoisti, chiusi,
violenti
educando al senso del
limite, anche alla fatica del vivere.
Il bullo
(anche a scuola) non è altro che l’autoritratto (oggi diremmo “selifie”) di
unha società che ha smarrito se stessa.
Colpevolizzare o
punire serve a poco.
E’ necessario un confronto culturale permanente per
contrastare il degrado morale e etico di una società che ogni giorno si esprime
nella violenza, nel bullismo, ripristinando
il rispetto delle regole e del bene comune, cominciando dalle piccole cose, dagli aspetti più minuti della vita
quotidiana.
Significa lavorare
per ripristinare un’alleanza educativa tra scuola e famiglia, un vero
patto di corresponsabilità educativa, un
contratto sociale . Docenti e genitori
devono collaborare per lo sviluppo e la crescita degli studenti.
Per
far questo, però, bisogna ridare centralità al ruolo
dell’insegnante, troppo spesso delegittimato e lasciato solo ad affrontare
le sfide educative.
Donata Albiero
6 maggio 2018
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