IMPARARE
DALLE SCONFITTE PER ESSERE PIU’ FORTI
Charles Darwin, il biologo evoluzionista
iniziò la carriera medica per abbandonarla.
Winston Churchill andava male a
scuola, eppure vinse poi addirittura il Nobel per la letteratura.
Walt
Disney è
stato licenziato per mancanza di immaginazione.
Bill Gates, genio
del pc,
è fallito a inizio carriera.
Hanno imparato dalle lro sconfitte per essere più forti.
Hanno imparato dalle lro sconfitte per essere più forti.
Vivere implica la
possibilità di sbagliare.
La resilienza è la
capacità di non abbattersi di fronte alle sconfitte. Ma anzi, di rialzarsi e “ricostruire” le proprie certezze. Partendo ogni
volta da zero.
Della resilienza e del ruolo
della scuola ho già parlato due anni fa.
“La resilienza delle bambine e dei bambini determina il loro futuro” così intitolavo un post nel mio blog generazione Speranza il 5 marzo 2016.
E davo un grande ruolo alla scuola oltre che alla famiglia, una scuola che doveva incentrarsi, scrivevo allora, “… sull’ascolto, sulla partecipazione attiva, sul protagonismo dei ragazzi, per aprire, contro l’indifferenza il grande male del nostro tempo, agli allievi la strada dell’assunzione di responsabilità, della cittadinanza attiva, della cooperazione, della solidarietà, nella consapevolezza che ciò comporta impegno.
Le inevitabili sconfitte e le frustrazioni sono il percorso attraverso il
quale si deve innescare il processo di resilienza.
Il tutto si interseca con un
ambiente accogliente, gratificante, sicuro, valoriale (scuola di
don Milani: non uno di meno) dove ogni studente con
orgoglio si identifica.
Le 101.521
visualizzazioni fino ad oggi che ha ottenuto il post, e i molti commenti nel
merito hanno dimostrato che la questione è sentita.
Spendo ancora
una parola nei confronti del ruolo
famiglia.
Tutti
gli alibi che spesso, come genitori, garantiamo ai nostri figli, per evitare
loro la frustrazione delle sconfitte, sono
di fatto deleteri per la loro crescita.
La
frustrazione del perdere aiuta a crescere.
Inutile
insegnare loro quando imparano a camminare che cadendo si impara, se poi
qualche anno dopo siamo pronti a giustificarli quando perdono la partita di
pallone, fornendo alibi: “hai ragione, oggi non sei in forma, non ti hanno
passato bene la palla, l’arbitro era scorretto”
Dobbiamo
insegnare ai nostri figli a
perseguire degli obiettivi personali e non generalizzati, cioè dare il meglio
di se stessi che per ognuno dei nostri figli sarà diverso.
Dobbiamo far loro porre l’attenzione non tanto sul NON raggiungimento dell’obiettivo ma su cosa si è imparato nel cercare di raggiungerlo, cosa si è scoperto di nuovo, cosa si è guadagnato dall’esperienza. non sminuiamo il sentimento del bambino di amarezza, di delusione e rafforziamo quanto di positivo potrà imparare dalla sconfitta
Dobbiamo far loro porre l’attenzione non tanto sul NON raggiungimento dell’obiettivo ma su cosa si è imparato nel cercare di raggiungerlo, cosa si è scoperto di nuovo, cosa si è guadagnato dall’esperienza. non sminuiamo il sentimento del bambino di amarezza, di delusione e rafforziamo quanto di positivo potrà imparare dalla sconfitta
Insomma,
per far diventare i nostri figli degli adulti consapevoli delle proprie forze,
sarà necessario che affrontino le naturali delusioni che incontreranno nel loro
cammino: dovranno solo imparare a saper
perdere senza perdersi.
In ciò conta l’esempio di noi adulti
Donata
Albiero 3 aprile 2018
Nessun commento:
Posta un commento