Intervista doppia sui compiti a casa http://youtu.be/2H2WLhamX18
Il dibattito sulla eterna questione dei compiti a casa, che ha animato le mie discussioni con docenti e genitori per decenni , sta avendo una impennata, dopo la pubblicazione a giugno 2014 del Rapporto OCSE TALIS 2013 sui diversi sistemi internazionali di istruzione (Focus sull' Italia).
Il sole 24 ore, tra le tante riviste e giornali sfogliati, a dicembre 2014, ha riassunto, secondo me, in modo accurato l’analisi riguardante il nostro Paese. L’identikit del tipico studente italiano prossimo al traguardo finale della scuola dell’obbligo non è entusiasmante: 15 anni sulle spalle, incline ad assenze e ritardi più di tanti coetanei stranieri, mediamente con risultati modesti o esigui nelle competenze alfanumeriche rispetto alla media dei 65 Paesi Ocse, ancorché con punte al di sopra della media nel nord del Paese. La scuola che frequenta è per lo più sottodotata in termini di nuove tecnologie e laboratori nonché in termini di materiali per lo studio. A casa sta chino sui libri per 8, 7 ore alla settimana, contro una media Ocse di circa 5. Eppure mediamente ottengono risultati scolastici sotto la media degli altri paesi europei.
In
particolare - ed è questo aspetto che mi ha sempre interessato come dirigente
scolastica - se si guarda alle fasce di
utenza più deboli, rispetto ad adolescenti con situazioni domestiche più agiate
o stabili, l’Ocse rileva divari rilevanti nel tempo dedicato allo studio a
casa, con esiti negativi sul rendimento scolastico:“Molti ragazzi che provengono da contesti
socio-economici svantaggiati sono sfavoriti, perché per loro è più complesso
trovare supporto in seno alla famiglia.
E
qui la scuola può intervenire e aiutare questi ragazzi, fornendo sostegno dopo
le ore scolastiche, anche se questo richiederebbe uno sforzo organizzativo e
finanziario importante per garantire un servizio adeguato.”
Tullio De Mauro, autorevole linguista in un articolo su
INTERNAZIONALE intitolato Compiti a casa al tramonto?
apparso a gennaio 2015 afferma -
“ I compiti a casa sono stati un pilastro della venerata trimurti che ha retto negli ultimi due secoli l’insegnamento nelle scuole: lezione orale dell’insegnante, interrogazione dello studente per verificare che ripeta esattamente le parole dette dall’insegnante, e i compiti a casa per rafforzare la capacità di ripetere. Nella vita e nel lavoro il più e meglio s’impara interagendo con gli altri, cooperando e cercando di mandare a effetto quel che apprendiamo. Non così a scuola.
Turba l’idea che la classe si trasformi in laboratorio, luogo di apprendimento attivo e cooperativo, e l’insegnante fornisca non formule da ripetere, ma consigli e assistenza sul cammino autonomo degli apprendimenti. Dove l’idea prende piede si avverte sempre meno la necessità dei compiti a casa.
Ora il rapporto Ocse dice che tra 2002 e 2012 in tutti i paesi decrescono in media da sei a cinque le ore settimanali dedicate dai quindicenni ai compiti a casa. Il pilastro vacilla. Tempo per i compiti e successo scolastico sono correlati per gli studenti dei ceti avvantaggiati. Invece i compiti accrescono lo svantaggio per gli altri. Soprattutto, il tempo per i compiti è un terzo della media Ocse in sistemi di alta efficienza – in Finlandia, Corea, Giappone – e tende invece al doppio in Italia e Russia” .
Oggi come
ieri, si ripropone quella che è sempre stata
la battaglia condotta a scuola, come direttrice didattica nelle elementari e preside nelle medie . La scuola, mi riferisco nello specifico a quella dell’obbligo, continua,
spesso, a dare compiti a casa, infliggendo agli alunni e alle loro famiglie
un onere anche molto gravoso, tanto più pesante quanto più lo studente sia disagiato,
bisognoso, solo; quanto più la sua famiglia sia indigente e deprivata.“ I compiti a casa sono stati un pilastro della venerata trimurti che ha retto negli ultimi due secoli l’insegnamento nelle scuole: lezione orale dell’insegnante, interrogazione dello studente per verificare che ripeta esattamente le parole dette dall’insegnante, e i compiti a casa per rafforzare la capacità di ripetere. Nella vita e nel lavoro il più e meglio s’impara interagendo con gli altri, cooperando e cercando di mandare a effetto quel che apprendiamo. Non così a scuola.
Turba l’idea che la classe si trasformi in laboratorio, luogo di apprendimento attivo e cooperativo, e l’insegnante fornisca non formule da ripetere, ma consigli e assistenza sul cammino autonomo degli apprendimenti. Dove l’idea prende piede si avverte sempre meno la necessità dei compiti a casa.
Ora il rapporto Ocse dice che tra 2002 e 2012 in tutti i paesi decrescono in media da sei a cinque le ore settimanali dedicate dai quindicenni ai compiti a casa. Il pilastro vacilla. Tempo per i compiti e successo scolastico sono correlati per gli studenti dei ceti avvantaggiati. Invece i compiti accrescono lo svantaggio per gli altri. Soprattutto, il tempo per i compiti è un terzo della media Ocse in sistemi di alta efficienza – in Finlandia, Corea, Giappone – e tende invece al doppio in Italia e Russia” .
Già, perché i ragazzi che abbiano genitori premurosi e culturalmente attrezzati possono affrontare l'impegno domestico con serenità o minore insofferenza; ma per chi non trovi nelle figure parentali sostegno , e magari ne debba subire la latitanza o, peggio, l'ignoranza, le difficoltà poste dallo svolgimento degli stessi compiti assumono ben altra consistenza; la fatica, spesso frustrante, è incomparabilmente più dolorosa.
Ho sempre cercato di spiegare ai docenti che non si dovevano valutare a scuola i ragazzi considerando i compiti svolti a casa segno di impegno, disciplina o rispetto delle regole. Il più delle volte , è stata per me una battaglia persa. La libertà di insegnamento è propria del singolo docente.
Tuttavia, non ho mai rinunciato a far riflettere i consigli di classe sul paradosso di premiare, di fatto, gli studenti che non avevano problemi e quindi svolgevano regolarmente i compiti loro assegnati.
Gli studenti invece con problemi (personali e/o familiari, che della scuola avrebbero più bisogno di aiuto, ascolto, comprensione), quasi sistematicamente non facevano i compiti, o li facevano male, indisponendo i docenti che per questo li redarguivano, infierendo con brutti voti, note, punendo, di fatto, il disagio, la sofferenza, emarginando tali ragazzi dal "sistema" invece di dar loro l’ opportunità di affermazione.
Ho letto, quale rinforzo alle mie posizioni, il saggio scritto da Maurizio Parodi, dirigente scolastico "Basta
compiti! Non è così che si impara" che si oppone all'utilizzo dei compiti per casa e li considera come inefficaci e addirittura
dannosi. Secondo l'autore , infatti, compito
principale della scuola non è "punire" gli studenti oberandoli di lavoro anche fuori dalle aule, bensì insegnare il giusto metodo di studio per imparare con profitto e far
emergere la personalità di ciascuno di loro.
Che dire ? La mia esperienza condotta in lunghi anni di osservazioni e confronto con docenti, mi spinge a non assumere una posizione univoca sulla necessità o inopportunità dei compiti a casa.
Sia ben chiaro. Che dire ? La mia esperienza condotta in lunghi anni di osservazioni e confronto con docenti, mi spinge a non assumere una posizione univoca sulla necessità o inopportunità dei compiti a casa.
I compiti sono importanti per consolidare quanto studiato in classe. La maggior parte delle conoscenze, infatti, si “fissa” attraverso l’esercizio. Essi sono un’occasione anche per accrescere l’autodisciplina e l’autonomia dell’alunno, per imparare a darsi dei tempi, a seguire delle regole, per sviluppare il senso del dovere e l’abitudine al lavoro, una prova in cui gli allievi devono misurarsi da soli.
Ma,
è doveroso chiederci: di che età stiamo parlando? Quante ore si fanno a scuola
prima di andare a casa? Quali
modalità di impegno a casa intendiamo: lavoro di ricerca, esercitazioni, lavori
di gruppo che richiedono una parte per ciascuno, semplice studio mnemonico,
ricostruzione degli appunti presi in classe e loro integrazione grazie a
esplorazione su altri testi e su media, esercizi di problem solving,
lavori di traduzione?
Le scuole dovrebbero ben tenere presente queste regole anche nel loro orario scolastico (quanto produttiva è l’organizzazione scolastica con la settimana corta, di sei ore di lezione consecutive al giorno? )
E passiamo alla questione del giusto carico: significa oltre a tener conto dell’età
dell’allievo anche e soprattutto compiti
diversificati , non uguali per la classe , in rapporto cioè ai ‘tempi’ di apprendimento dei vari alunni.
Non è finita. La funzione dei compiti è legata al
lavoro che si fa a scuola.Per avere la massima efficacia devono in ogni caso avere un feedback da parte degli insegnanti (che purtroppo non sempre li guardano). Così non solo viene riconosciuto un valore all’impegno richiesto, ma i docenti hanno modo di verificare eventuali difficoltà.
Vogliamo di più ? Attraverso la
didattica cooperativa, in classe , i compiti assegnati dovrebbero essere discussi e corretti , bambini con
bambini, ragazzi con ragazzi, confrontandosi , con la guida del
docente, sulle rispettive strategie per superare le
difficoltà di chi non riesce. Se
si chiedesse allo scolaro che meglio ha risolto un problema, ostico per altri,
di spiegare ai compagni come è arrivato alla soluzione, la volta dopo tutti
avrebbero uno strumento in più. È il principio del mutuo insegnamento.
Non è facile essere educatore
.Di certo, i compiti a casa non sono la bacchetta magica da usarsi per sopperire le carenze del lavoro in classe, qualsiasi giustificazione si voglia dare.
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