“I genocidi non appartengono al passato. La storia palestinese lo dimostra”. E questo il titolo di un interessante articolo del 2020 apparso in The Vision.
Lo rispolvero proprio mentre mi accingo a leggere, di Lia Levi il libro “Il Giorno della Memoria spiegato ai miei nipoti”, per capire se lo posso regalare alla mia nipotina Luna di 9 anni il 27 gennaio 2023, in cui ricorre la Giornata Mondiale in Memoria delle Vittime dell'Olocausto.
E ancora "C’è bisogno di qualcuno che in
un preciso momento ti dica: Alt! Fermati un attimo per sentire e pensare.
Certo, non solo un giorno obbligato, quindi sì al giorno della memoria, ma
anche sì alla memoria tutti i giorni".
Giusto. Ma a questo punto mi blocco.
Le commemorazioni istituzionali della giornata della memoria si ritrovano da anni a seguire gli stessi rituali, una ripetizione sistematica di date ed eventi del passato che però non servono davvero a influenzare in positivo il presente, finendo anzi col far passare in sordina alcuni olocausti contemporanei.
Proiezioni di documentari sulla Shoah, testimonianze dei sopravvissuti
all’orrore, viaggi organizzati in visita ai campi di concentramento sono di
fondamentale importanza per mantenere viva la memoria storica e sensibilizzare
le nuove generazioni. Tuttavia, quando si urla a gran voce che gli orrori del
passato non devono ripetersi, nessuno sembra far caso alla politica di apartheid e
alle ripetute violazioni dei diritti umani dello Stato di Israele, e in questo
modo la memoria viene svilita riducendosi apparentemente a un mero esercizio
retorico.
Cercherò di SPIEGARLO alla mia nipotina.
Donata Albiero
GAZA
RispondiEliminaGOTT MIT UNS
Tu,
nella goffa divisa
di moderno soldato,
segui la rotta
tracciata dalle bombe.
Varcato il confine
dello sterminio,
avanzi nel buio
tra foglie tremanti
di limoni spezzati.
Carri di duro metallo sfondano,
portici e cortili di ibisco
e cisterne profumate d’ombra e d’acqua cristallina,
dove disseta la sera il giovane garzone.
Ora
uno zampillo vermiglio sgorga
sul candido sudario
della camicia.
Mandrie atterrite
scardinano le stalle.
Il fuoco divora la campagna.
Più avanti,
terribili schianti di bombe
spalancano scuole e poveri ospedali.
Tra case strette
nei vicoli dall’impossibile fuga,
danza la morte, cantando,
tra le macerie.
Spegne sommesso pianto di disperati
il rombo ottuso dei carri.
Pioggia di cristalli
taglienti
cade dal cielo.
Ovunque
Corpi aperti di donne,
di bimbi increduli,
di fanciulle in fiore.
Tu,
nella goffa divisa di soldato moderno,
avanzi nella notte,
timoroso dei colpi
di padri e di fratelli,
di figli:
peana di piombo,
imeneo di lacrime
per le ragazze morte alla vigilia delle nozze.
Lenzuola di gelsomini coprono i bimbi uccisi,
davanti al pianto cieco delle madri.
Corazze e cingoli di acciaio,
si aprono la strada
tra desolati abbeveratoi e giardini di arance.
Bruciano come torce gli ulivi centenari.
Un orizzonte invisibile di cani
lacera i confini della notte.
Dietro di te lasci solo una scia informe di morti.
Mordechai Anielewicz,
martoriato, nelle vesti stracciate
dell’ultima lotta del ghetto,
le mani ustionate
dai colpi di un vecchio fucile,
senza più munizioni,
davanti a te s’erge.
Ora puoi riconoscere
il doloroso
trasparente sguardo dei morti.
Insieme a lui,
Itzack Zukkermann, Zivia Lubetkin, Joseph Kaplan1.
“Qui
per morire una seconda volta,
in questa Guernica,
che brucia nella notte senza possibile tregua.
Porto nel cuore
l’eco delle donne
violate e assassinate
a Sabra e Chatila.
Il lampo dei coltelli feroci
delle milizie maronite
aizzate dall’odio di Ariel.
Quanti bambini avete ucciso oggi a Gaza,
e quanti a Sabra, a Chatila?
Dalla nebbia dei lager le vostre madri
vi guardano e non vi riconoscono.
Non riconoscono le divise che indossate
né l’odio che urla nei vostri cuori.
Non riconoscono
la lingua di morte che esce dalle vostre gole esauste.
Le vostre madri,
tra le donne di Gaza,
stringono al petto
1 Sono i nomi dei combattenti nella resistenza del ghetto di Varsavia
corpi straziati di bambini.
Soccombemmo
combattendo a mani nude
contro un esercito
di acciaio temprato con l’odio.
Terroristi e banditi
ci chiamarono,
rei di difenderci
dentro il chiuso orizzonte
disperante della storia.
Terroristi e banditi
ci chiamano ancora.
Questa, che voi dite guerra,
è un massacro.
Massacro di eserciti
che marciano su un popolo inerme.
Così sugli schermi
di asettiche azzurre TV
esibite ogni sera
la cieca coscienza del mondo!
Brucia Gaza e voi
invocate
una falsa e impossibile pace.
Guerra chiamate
gli orrendi omicidi.
Guerra il delitto e le case sventrate,
guerra chiamate questo
perenne, atroce
genocidio,
Giordano di pena,
sotto l’azzurro cielo della Palestina.”
Titta Fazio
Grazie
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