Correva l’anno 1921 (19 settembre), la bellezza di 100 anni fa, quando
nacque Paulo Freire, il geniale educatore e sociologo, padre
del Programma di alfabetizzazione nazionale brasiliano ed esule in Cile dal
1964 dopo aver subito la prigionia e la tortura da parte della giunta militare: uno dei più grandi Maestri della pedagogia.
Quando frequentai l’università, a metà degli anni ’70, il suo pensiero dominava i programmi che studiavo per la laurea in Pedagogia.
Rimasi colpita, allora, quando
alle prese con il libro “Pedagogia
degli oppressi” ci spiegarono che leggere Freire significava “misurarsi con i problemi di oggi alla luce di un pensiero che parla al
nostro tempo ed è un pensiero di futuro”. Ero ancora immatura e la mia
coscienza non capì in pieno la rivoluzione del suo operare, il fatto di concepire
l’educazione come un momento di trasformazione sociale: una emancipazione
delle persone che sono inserite in un contesto, in una comunità, in un
territorio, nel mondo.
Solo dopo, con la pratica scolastica
come insegnante/dirigente e oggi con quella della cittadinanza attiva come
ecologista, tutto mi è diventato e mi è chiaro.
Per FREIRE “Non si sta al mondo con i guanti bianchi. Si sta al mondo prendendo
posizione”.
Ed egli aveva preso posizione, fatto la
scelta dei poveri, degli oppressi, dei dimenticati. Non come chi sa e si rivolge dall’alto di una
cattedra a chi non sa, ma come chi si mette accanto e in dialogo, offrendo non
risposte preconfezionate o strumentali, ma domande, ascolto profondo,
condivisione.
La sua pedagogia, spendibile a scuola, oggi, ma ancor più nel mio essere attivista, è una pratica di dialogo, nella quale, confrontando saperi diversi, si contrasta un modo di pensare acritico, conformista e omologato, si prende coscienza delle contraddizioni, dei problemi, della complessità del mondo, non per arrendersi al fatalismo dell’evidenza, ma per sentirsi chiamati in causa. Da qui prende avvio il processo che Freire chiama di coscientizzazione. "Ser mais”, “essere più”, è l’espressione che Freire utilizza per indicare tale processo, che è di liberazione e di umanizzazione.
Prendo nota.
E’ una pedagogia ancora all’avanguardia
ben spendibile nel progetto educativo sui Pfas che portiamo nelle scuole
Spiega Silvia Manfredi, Presidente dell’Istituto Paulo Freire Italia: “Secondo Freire la persona cresce e si evolve non solo per acquisire nuove competenze e imparare cose nuove, ma anche per svolgere un ruolo attivo a livello politico e sociale nel contesto in cui vive…”
Siffatta teoria sostiene che sin da bambini iniziamo a plasmare il nostro ruolo di cittadini attivi, critici i quali potranno, un domani, contribuire a trovare soluzioni diverse e creative nella comunità in cui si è immersi. "... Educare significa quindi attivare nell’individuo il desiderio e l’impegno di agire per trasformare, modificare ed innovare dal punto di vista culturale e sociale l’ambiente che ci circonda".
L’atto di problematizzare, fare domande, chiedersi, interrogarsi rispetto a
una situazione implica numerosi passaggi e io ci ragiono pensando alle possibilità di confronto con gli studenti
sulla questione …. Pfas con il nostro progetto educativo “La salute nella
Terra dei Pfas. Nuove pratiche di cittadinanza attiva”.
La tematica da noi portata sui PFAS è
tanto significativa da poter essere analizzata, approfondita e conosciuta, ma
quali sarebbero i passi da compiere seguendo il metodo di Freire?
Intanto bisogna sviluppare insieme una strategia condivisa per avviare, sempre insieme, l’analisi della situazione e della tematica che si vuole affrontare. Partire dal presente è essenziale per ripensare il domani e guardare il futuro in una prospettiva di emancipazione e trasformazione socio-culturale.
E' il contratto formativo con gli studenti all’inizio del percorso. Ci siamo.
Il passaggio successivo implica la costruzione di circoli (gruppi) di incontro e dialogo – Freire li chiamava circoli culturali – per discutere, progettare decidere le azioni da fare insieme (Noi indirizziamo i ragazzi a realizzare in autonomia a scuola le azioni di cittadinanza attiva. Questi circoli rappresentano uno spazio di dibattito e consentono di sviluppare una rete di relazioni ed interazioni sociali. Il gruppo, inteso come spazio collettivo, favorisce la democratizzazione della parola, del sapere e fornisce la struttura base per lo sviluppo del lavoro intellettuale come produzione collettiva” . Noi alla fine ci confrontiamo con loro utilizzando l’Agora, un confronto tra pari – ATTIVISTI con le loro storie e STUDENTI con le loro proposte realizzate nel concreto. Ci siamo.
Non male, senza mai dimenticare quello che è il nostro Obiettivo generale: educare ad un altro mondo possibile, ovvero rendere visibile ciò che era nascosto, sensibilizzare, demercificare la vita, cambiare radicalmente i sistemi di produzione e creare le condizioni per preservare l’equilibrio tra l’uomo e l’ambiente naturale.
Il
lascito di Freire si spinge fino ad anticipare il profilo di una “pedagogia
della sostenibilità”, definita “ecopedagogia”, ovvero “L’ecopedagogia per il futuro della Terra” (Andrea Mulas).
E allora utilizziamo a scuola, anche nel nostro progetto educativo sui Pfas, il metodo di Paulo Freire, estremamente efficace, non solo per “imparare”, ma anche per attivare meccanismi di cambiamento sociale attraverso dinamiche attivanti! La “classe” con cui ci confrontiamo diventi un “circolo di cultura” in cui studenti e attivisti ed esperti no pfas possano rielaborare la propria relazione per confrontarsi ed arricchirsi. Ognuno porta esperienze diverse con la consapevolezza che “Nessuno educa nessuno, nessuno si educa da solo. Gli uomini si educano insieme con la mediazione del mondo” (Freire).
Avanti!