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lunedì 12 febbraio 2018

DIRITTO ALLO STUDIO TRADITO E (D)ISTRUZIONE SCOLASTICA


LA BUONA SCUOLA DEI VINCENTI

Tempo di iscrizioni: bufera sui licei che compilando il rapporto sull’autovalutazione si lasciano scappare qualche parola di troppo…

 Ecco la scheda di presentazione (RAV) che un liceo di Roma ha fatto di sé e della propria offerta formativa, visibile sul sito del MIUR (Ministero Istruzione)
"...«Tutti, tranne un paio, gli studenti sono di nazionalità italiana e nessuno è diversamente abile » . La percentuale di alunni svantaggiati «per condizione familiare è pressoché inesistente »[...]. 
Il finale è una conclusione che spiazza: «Tutto ciò», e si intende la quasi assenza di stranieri e la totale assenza di poveri, « favorisce il processo di apprendimento»
..."
E’ la prosa che accomuna diverse  scuole del Paese, spesso i licei più prestigiosi e selettivi, nel presentarsi alle famiglie, per attrarre l’iscrizione dei loro figli, per accalappiare nuove clienti.                                                           Quello che mi angustia non è il fatto in sé ma la considerazione che se diversi licei hanno scelto la strada della competizione, del razzismo, della discriminazione per accalappiare nuovi "clienti" vuol dire che la scuola azienda non è più uno slogan.

Ma noi cittadini, noi genitori come siamo messi? 
 Francesco Cancellato scrive rivolto alle famiglie e io concordo con lui, da ex dirigente scolastica alle prese con una scuola cosiddetta a ‘rischio’ per l’elevato numero di alunni stranieri non ancora alfabetizzati che ha accolto nel corso degli anni.                                                                                                    “Siamo noi che da ragazzini - ah, la piazza - scioperavamo e sfilavamo per una scuola aperta e plurale, inclusiva e pubblica, rispettosa delle differenze e delle diversità. Principi stupendi che cozzavano già allora con una realtà molto meno romantica, costretta a barcamenarsi tra tagli di fondi e demotivazione diffusa del personale. Principi cui però avevamo giurato di tener fede, una volta genitori. Siamo sempre noi, dieci - facciamo quindici - anni dopo, che ci informiamo in segreteria d'istituto di quanti bambini stranieri e disabili saranno in classe coi nostri figli. Che ci confrontiamo con gli altri genitori sui ritardi di programma delle classi in cui studiano, che ci lamentiamo dell’insegnante con la 104 che sparisce per metà anno e per le supplenti che si alternano. Che spostiamo nostro figlio in un’altra classe, senza stranieri e senza disabili, perché le elementari/medie/superiori sono importanti, perché la scuola è importante, perché ne va del suo futuro, perché “non sono razzista ma”. Che dalla lotta collettiva, passiamo alla via di fuga individuale…Siamo sempre noi, poi, che ci scandalizziamo quando una dirigente scolastica, in un rapporto di autovalutazione, rende esplicito quel che sappiamo tutti. Che le classi senza poveri, senza stranieri, senza disabili sono le più ambite, le più desiderate dai genitori. Genitori ricchi, italiani con figli normodotati, ovviamente. Come se tutti gli altri fossero un altro popolo”
Della politica, della società non ce ne frega nulla. 
Rimaniamo del tutto INDIFFERENTI di fronte al 10% di tagli lineari all'istruzione del periodo 2012-2014, di cinque volte superiore rispetto agli altri capitoli di spesa, come se l’istruzione sia la cosa più inutile del mondo per risollevare un Paese dalla crisi.
Invece ci preoccupiamo degli stranieri che “non sono come noi, che non hanno i nostri valori e la nostra cultura”, ignorando che la scuola è il più grande veicolo di integrazione sociale che esiste.

Solo dopo esserci fatti l’autocritica, come genitori, per il nostro ‘individualismo’, possiamo scagliarci contro le responsabilità della scuola, anche qui con la precisazione che essa riflette, spesso, la società in cui viviamo e che il destino della stessa scuola è segnato dalla POLITICA.

Perché è vero che più che parlare di scuola classista si deve parlare del contesto “classista” in cui agisce la scuola” Qui crescono diseguaglianze economiche, sociali e territoriali. I dati Indire, Ocse confermano: il 58,1% dei figli di coloro che hanno massimo la terza media abbandonano la scuola. Tasso che si riduce al 13,2% tra i ragazzi che hanno i genitori laureati. Un terzo degli abbandoni avviene nelle famiglie dove i genitori sono precari, il dato diminuisce con i genitori dipendenti e professionisti. L’ambiente familiare influenza pesantemente il percorso e le aspirazioni degli studenti. La scuola restringe la forbice fino ai 15 anni, dopo lo svantaggio del capitale sociale esplode. Questo muro sociale si ripresenta nell’accesso all’università e alla laurea: i figli dei laureati vanno avanti, mentre cresce il divario tra ricchi e poveri.

Infine, c’è la POLITICA, quella, per intenderci, che ha promulgato la legge sulla buona scuola, favorendo un sistema viziato di competitività feroce. Viziato di meritocrazia fasulla, perché deve essere costruita ad hoc.
Un sistema viziato di esclusione sociale.
Una scuola che dovrebbe partire dal concetto che non è un supermercato o un’azienda, dove ognuno può essere illuso dalla pubblicità e poi comprare ciò che desidera, ma un organo previsto costituzionalmente con il compito di istruire facendo acquisire conoscenze e competenze, far crescere e formare cittadini valorizzando le persona nel rispetto delle differenze e delle identità di ciascuno.
Una scuola In cui in mancanza di investimenti pubblici chiede soldi ai privati cittadini, con l’entrata anche di “sponsor” che sicuramente condizioneranno i programmi ed i piani dell’offerta formativa.

E si arriva al capolinea; già proprio così


 Libertà di insegnamento, collegialità delle decisioni, gratuità dell’accesso all’istruzione, unitarietà del sistema scolastico: la scuola disegnata dalla legge 107/2015 cancella i principi fondativi della scuola della Repubblica italiana, sostituendoli con gli sponsor, i bonus, gli statuti, le squadre (sic). 
Trasformando le scuole in un unico,
aberrante agone competitivo, in cui vincerà il dirgente che avrà attirato, con ogni mezzo, maggiori investimenti privati. 


Che fare?  
Dobbiamo reagire, dobbiamo recuperare i valori della nostra Costituzione.
Ci vuole la Scuola della Costituzione.                                                                         


 Ci vuole la LIP:  Per la Scuola della Costituzione.

 Donata Albiero                                            12 febbraio 2018 





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