VENETO : riaccendiamo i ragazzi ormai 'spenti' con la scuola in presenza
La Regione Veneto, quella in cui abito, ha deciso, senza se e senza ma, di continuare con la chiusura delle scuole ‘superiori’ almeno fino al 31 gennaio, lasciando gli adolescenti nelle case, davanti al PC, a fare didattica a distanza. Riparte l'immensa incertezza sul destino degli studenti che abbiamo vissuto nel 2020. Che cosa sarà della loro frequenza scolastica?
Non me lo aspettavo.
Dal 24 febbraio del 2020 e fino al 31 gennaio di quest’anno gli studenti veneti delle superiori sono andati a scuola, in presenza, solamente 38 giorni. Mi illudevo che la questione delle scuole, di ogni ordine e grado, in presenza, fosse in cima all’agenda politica e che esse riaprissero tutte dal 7 gennaio, in totale sicurezza. C’erano stati mesi e mesi di tempo, di proposte e controproposte, di documenti consegnati, di appelli, petizioni, proteste in piazza.
La priorità da salvaguardare. Invece no, in Veneto si è scelto ancora una volta la via più facile, prorogare la chiusura della scuola superiore.
"In un colpo di spugna, il Governatore Zaia ha risolto tutti i problemi che erano legati al ritorno sui banchi - lo spiega la mamma Monica Buson, che ho avuto il piacere di incontrare a Monselice due anni fa, in una lettera aperta: i trasporti, i tracciamenti, le classi pollaio, l’edilizia fatiscente, la mancanza di personale, di fondi” Tanto gli studenti e le studentesse delle scuole superiori sono grandi, possono stare a casa da soli e fare la DAD. Che bella invenzione. Loro, i ragazzi, le ragazze, nell’immaginario collettivo, non esistono più. Sono spariti. Chiusi tra quelle mura. Non se ne parla più, se non in termini di numeri...L'età evolutiva ha bisogno di tutto tranne che di Dad, limitazione della socializzazione, reclusione. I fattori che sostengono la crescita sono proprio tutti quelli che il lockdown rende impossibile e su cui la Dad va ad impattare in maniera molto forte…”E’ il diritto all’istruzione a essere cancellato, l’art. 34 della nostra Costituzione, quello che dice che “La scuola è aperta a tutti. I capaci e i meritevoli anche se privi di mezzi hanno il diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi”. Perché per l’ennesima volta solo chi avrà una connessione buona, un PC per figlio, una famiglia alle spalle, una tranquillità economica, continuerà, anche se tramite la didattica a distanza, a frequentare la scuola. Gli altri, anche se capaci, anche se meritevoli, lasceranno e si perderanno.
Non è in discussione la gravità della pandemia covid, il numero dei contagi, la drammatica preoccupazione per gli effetti sul sistema sanitario, bensì il valore che intendiamo dare all’Istruzione, soprattutto in un’età delicata qual è l’adolescenza.
Lo ricorda il movimento “Priorità alla scuola” in cui mi riconosco. Sì perché c’era tutto il tempo per redigere un piano ad hoc di rientro, che comprendesse vaccinazioni per i docenti, trasporti, ingressi scaglionati, classi divise. Sempre che la scuola sia ritenuta un servizio essenziale, a beneficio della comunità. L’impressione è invece che i nostri ragazzi siano considerati dei meri potenziali vettori del virus, non come persone che hanno bisogno di formazione, dialogo a tu per tu, contatto umano per una loro completa formazione. In classe, in presenza, gli allievi non ricevono solo nozioni relativamente alle diverse materie del loro ciclo di studi, ma hanno la felice opportunità di porre le basi per diventare le donne e gli uomini di domani.
La Dad non è scuola.
Lo conferma il quadro allarmante tracciato dalla ricerca di IPSOS per conto di "Save the children": La ricerca, intitolata “I giovani ai tempi del Coronavirus”, ha preso in esame un campione di 1000 adolescenti tra i 14 e i 18 anni frequentanti la scuola superiore secondaria, con l’obiettivo di far luce su opinioni, stati d’animo e aspettative dei ragazzi in epoca di crisi ma anche sui rischi di dispersione scolastica connessi alla didattica a distanza. Gli adolescenti che vivono e studiano nel nostro Paese tracciano un bilancio dei mesi di didattica a distanza che ha coinvolto oltre due milioni e mezzo di ragazze e ragazzi delle scuole superiori di secondo grado.Un quadro critico, quello che emerge dagli studenti, che fa suonare un campanello d'allarme sul rischio di dispersione scolastica.
Ancora, il Consiglio nazionale dell’ordine degli psicologi, assieme a una società di indagini demoscopiche, a dicembre ha svolto per il ministero un’analisi trasversale alla popolazione scolastica con una serie di quesiti preparati dal proprio centro studi. Il presidente Lazzari e colleghi hanno coinvolto gli alunni dalla scuola infanzia alle superiori e anche i genitori: «Le nostre paure sono confermate: la pandemia ha scatenato disagi che velocemente si trasformano in disturbi. La didattica a distanza acuisce i pericoli…”
«Stiamo imponendo agli adolescenti una distorsione evolutiva tragica. Li stiamo inchiodando nel nido materno, rendendo impossibile oggi fare l’adolescente. Dal punto di vista psicologico è molto rischioso», spiega il pedagogista Daniele Novara
E allora mi chiedo.
Chi si sta incaricando di capire com’è la percezione della vita in ragazzi che, nel momento decisivo della loro esperienza umana, si trovano espropriati, per ragioni oggettive, di ogni relazione, ogni forma di intrattenimento e di svago? E quanto pesa l’assenza dalla dimensione scolastica che è certo apprendimento ma anche scambio, condivisione, definizione di uno spazio proprio, il primo autonomo dalla famiglia, in cui ciascuno mostra sé stesso ed è messo alla prova?
Nell'educazione un tesoro, così scriveva Jacques Delors nel 1996 nel Rapporto all’Unesco della Commissione Internazionale sull’educazione per il XXI secolo. Dove, per educazione, si intendeva la scuola (quella in presenza che permette la socializzazione), la formazione, il tempo dedicato alla crescita delle ragazze e dei ragazzi considerato centrale per il futuro di ogni Stato in Europa.
Oggi, la scuola è quel tesoro rubato dal Covid e dalla Politica.
Che vogliamo fare? La scuola si cura non si chiude.Opporsi alla chiusura generalizzata, utile scorciatoia politica, non significa «volere scuole aperte comunque» significa adoperarsi per scuole più sicure, accettare chiusure mirate là dove ci fossero focolai e valorizzare gli istituti anche come luoghi di monitoraggio territoriale del contagio.
Non è possibile che in pratica insegniamo ai ragazzi che la cultura è la prima struttura di una nazione a poter essere sacrificata, che proponiamo una società fatta solo di consumi, commercio e di soldi. Abbiamo chiuso le scuole ma abbiamo lasciato che i loro pomeriggi fossero senza controllo tenendo aperti i centri commerciali e alcuni luoghi di ritrovo - tristemente noti per risse e assembramenti - permettendo una socialità fine a sé stessa e a volte insana.
Sia chiaro non sottovaluto la pandemia e la paura che procura. Io ci sono passata. Infatti, se ho mille e più motivi per chiedere che i nostri ragazzi tornino a scuola: perché a casa stanno male, perché perdono il diritto all’istruzione, perché si giocano il loro futuro, perché non possono socializzare, perché non possono innamorarsi, perché sono privati di esperienze e attimi che mai più rivivranno con le emozioni proprie delle loro età, e tanto altro ancora, intendo, con le manifestazioni a cui aderisco, premere per far tornare i ragazzi il più presto possibile dentro la scuola, ma solo quando INTORNO la scuola sarà sicura.
E le nostre manifestazioni, come ben sintetizzato nella pagina facebook di Giovanni Cocchi, .devono servire a questo: rendere il di fuori sicuro perché possano tornare dentro luoghi sicuri..
Questi ragazzi saranno la classe dirigente del futuro, i politici, i medici, gli scienziati, coloro che decideranno per noi adulti quando saremo anziani, nessuno ci pensa?
Facciamoli tornare a scuola!
Donata Albiero
Approfondimenti
La stampa si muove
https://www.repubblica.it/cronaca/2021/01/09/news/lettera_studenti_chiedo_scusa-281876429/
https://www.corriere.it/cronache/21_gennaio_07/quei-ragazzi-dimenticati-nell-inverno-pandemia-1cc95b16-505c-11eb-9028-