C’era una volta
l’educazione civica
Ero direttrice
didattica quando appresi, correva l’anno scolastico 1990/91, della soppressione,
per me inconcepibile, dell’ora di educazione civica nelle scuole medie e
superiori.
Non fu l’effetto di una riforma della
scuola statale, ma l’inizio penoso dei tagli finanziari
al comparto scolastico che – fino al 1990 – poteva contare su una notevole
fetta del bilancio nazionale, pari al 10,3% del totale della spesa
pubblica.
Dall'anno scolastico 2010/11 si è passati al nome " Cittadinanza e costituzione", con due ore mensili affidate al professore di storia
In teoria, l'insegnamento è presente per tutti gli istituti di ogni ordine e grado all'interno delle materie di storia e geografia.
In pratica, tale disciplina, non considerata prioritaria, è sparita del tutto.
In teoria, l'insegnamento è presente per tutti gli istituti di ogni ordine e grado all'interno delle materie di storia e geografia.
In pratica, tale disciplina, non considerata prioritaria, è sparita del tutto.
La sua cancellazione ha consentito
di ridurre una parte della spesa economica ma nel contempo ha segnato l’inizio
o/e l’accelerazione del processo di debellazione del senso civico in Italia.
“… Tutto ciò cui stiamo assistendo oggi, è anche frutto di questo diritto/ dovere negato agli italiani che, inconsapevoli ormai di un senso
civico condiviso, non sono più in grado ormai da anni di avere netto in mente
il senso del bene e del male, con la conseguenza aberrante che – la maggior parte della popolazione – non è più in grado di poter porre veti a metodi e azioni che proprio dalle istituzioni partono contro la popolazione stessa che non è stata così più in grado di essere consapevole di cosa sia concesso fare e cosa non lo sia. Rendendo possibile ogni misfatto. Chi conosce, chi ha cultura civica, sa come
rispettare le regole per farle rispettare di conseguenza a proprio
vantaggio. Creando così un vantaggio per tutta la
comunità… (Emila
Urso Anfuso).
Sia ben chiaro, però, la “diseducazione civica” che constatiamo dappertutto non è imputabile tout court al mancato insegnamento a scuola: troppo comodo pensarla così
Un bellissimo articolo di Benedetto Vertecchi, che condivido, intitolato “Se ai ragazzi insegnamo la diseducazione civica” ( per i puristi si deve scrivere "insegniamo") faceva nel 2013 il punto della situazione mettendo in correlazione scuola e società
Vertecchi allora si chiedeva se le condizioni
politiche e sociali in cui la scuola operava fossero le più favorevoli a
costituire uno sfondo di riferimento.
“Non si può ignorare, infatti, che l’educazione civica, anche più di quanto
non avvenga per altri aspetti dell’educazione scolastica, rischia di produrre
effetti controproducenti nel profilo di bambini e ragazzi se la proposta di cui è portatrice si
presenta contraddittoria rispetto alla
sua traduzione empirica, ovvero al modo in cui determinati principi sono
concretamente attuati, o inattuati, nell’esperienza quotidiana.
In breve, non si può continuare a dire a bambini e ragazzi che la
Repubblica è fondata sul lavoro, se poi non ci si preoccupa di superare le
angosciose incertezze che segnano la condizione di vita di milioni di
lavoratori o di giovani in cerca di occupazione.
Non si può spargere moralità sociale
se si consente che una parte consistente del reddito sfugga al prelievo
fiscale.
Non si può affermare l’uguaglianza dei cittadini se le leggi non sono
uguali per tutti, e ce ne sono di formulate per un uso personale.
Si potrebbe continuare, ma sarebbe inutile, perché si dovrebbe stilare un
elenco noto a tutti.
(…)
Se l’intento dell’educazione civica è di creare una cultura comune di
riferimento per ciò che riguarda i diritti e i doveri dei cittadini e le regole
che disciplinano la vita sociale, bisogna prendere atto che tale intento non
può che essere conseguito per l’effetto convergente dell’educazione formale
assicurata dalla scuola (cui spetta di fornire gli elementi conoscitivi) e di
quella informale, che si acquisisce attraverso le esperienze che si compiono,
giorno dopo giorno, nelle famiglie, tramite le interazioni sociali, per effetto
delle suggestioni esercitate dai sistemi di condizionamento prevalentemente
attivi attraverso i mezzi per la comunicazione sociale.
La scissione tra i principi della convivenza (quelli espressi dalla
Costituzione) e i valori empirici ossessivamente enfatizzati come segni della
capacità di affermazione individuale rappresenta una manifestazione non
marginale della crisi che il nostro Paese (ma non è il solo) sta attraversando.
Quel che in Italia è più grave è un effetto di mitridatizzazione, che sta
minando la capacità di stabilire un rapporto corretto tra le aspirazioni e i
comportamenti individuali e quelli sociali.
C’è da chiedersi se, al momento, le proposte che la scuola rivolge
attraverso l’educazione civica non siano percepite da bambini e ragazzi come
una forma di ipocrisia. Certi principi possono apparire esibizioni esortative
che la società adulta si guarda dall’accogliere. Un’educazione civica così
praticata è un’offesa per la Costituzione: meglio sarebbe sospenderne l’insegnamento.
L’alternativa a una simile
amputazione consiste in un’assunzione
collettiva di responsabilità: si può insegnare l’educazione civica se si
contrasta la disoccupazione, se non si considerano furbi ma criminali gli
evasori fiscali, se non si approvano (e neanche si propongono) leggi ad
personam, se tutti fruiscono di un’istruzione di qualità elevata, se non si
devasta il territorio e via seguitando.
La scuola può rendere sistematico l’apprendimento,
ma i valori sui quali si fonda l’educazione civica non possono che costituire
il riflesso delle scelte prevalenti nella società.” … e nella Politica, aggiungo
io.
Oggi imperversa, infatti, l’arroganza
di una classe politica che manovra la cosa pubblica come
fosse roba sua. Amici, parenti, clienti, criminali, massoni, mafiosi, il
concetto stesso di reato si dissolve in una fitta rete di relazioni e scambi di
favori che si estende fino alle periferie della società. E anche quando il reato c’è, e si vede, c’è sempre un cavillo, un
precedente, un decreto
ad personam, un testimone comprato, un avvocato fatto senatore,
un deus ex-machina che in extremis salva l’imputato. Sempre che nel frattempo
non sia già scattata la prescrizione si
intende.
Quali insegnamenti trasmette dunque la classe dirigente alla nostra comunità? Che tipo di esempio rappresentano per le nuove generazioni?
Quali insegnamenti trasmette dunque la classe dirigente alla nostra comunità? Che tipo di esempio rappresentano per le nuove generazioni?
Esiste, di
contro, per fortuna una grande 'popolazione' che insiste con pervicacia a educare i
ragazzi, a usare in
famiglia e in pubblico un “per favore” un “grazie”, a distinguere il bene dal
male, ad affrontare la vita e non a farsela regalare, a capire che ci sono
delle regole di convivenza a cui attenersi, a rispettare gli altri.
Solo
da questa popolazione mi aspetto il cambiamento che la scuola, dal canto suo,
saprà rafforzare, diffondendo la cultura
civica contro i cattivi esempi.
Possono fare la differenza anche nell’essere cittadini attivi.
Donata Albiero
9 marzo 2018
Puntualizzazione a quanti hanno corretto il titolo del post in "INSEGNIAMO"
Si scrive INSEGNIAMO o INSEGNAMO?
Ho riportato pari pari l'articolo di Vertecchi "Se ai ragazzi insegnamo la diseducazione civica " senza permettermi il lusso di modificare un titolo non mio che non è nemmeno sbagliato
ACCADEMIA DELLA CRUSCA
Se questo fatto semplifica molte cose, pone però il piccolo problema di come si debba scrivere: sognamo, bagnamo o sogniamo, bagniamo? Premesso che è una questione di lana caprina, diciamo subito che — con buona pace dei grammatici pedanti — non si può considerare errore la grafia senza «i». Semmai la questione andrebbe spostata al problema della pronuncia: si deve «sentire» la «i» in parole come «bagnamo», «sognamo»? (Alcuni distinguongo: sí nel congiuntivo, no nell’indicativo.) Per diverse ragioni grammaticali, storiche, logiche ed etimologiche che non è il caso di sviscerare, considerati i pro e i contro si può concludere che andrà comunque bene. Si scriva pure: insegnamo o insegniamo, ecc. (S’attengano alla forma con «i» quelli che temono d’essere tacciati d’ignoranti. Preferiscano l’altra quelli che antepongono il buon senso alla paura.)