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giovedì 25 gennaio 2018

SMARTPHONE IN CLASSE, LA RIVOLUZIONE E' UFFICIALMENTE PARTITA

Un dibattito aperto

A volte dobbiamo disconnetterci per creare buone connessioni  
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 Ci siamo.
Il progetto della ministra dell’Istruzione Fedeli che punta a introdurre nelle scuole italiane l’uso degli smartphone è in dirittura d’arrivo. Le linee guida sono state completate dagli esperti. Tra poco una circolare ministeriale le espliciterà. Resta il divieto per uso personale. La scuola, stando alle parole della ministra Fedeli, ancora ferma a obsolete metodologie, ne aveva bisogno”.
Ma ne aveva davvero bisogno la povera scuola italiana? In Francia li hanno vietati, c’è già una letteratura negli Usa che li boccia.In Inghilterra li stanno togliendo: uno studio ha stabilito che la sola presenza del cellulare sul banco distrae lo studente, peggiora la sua attenzione.

In Italia, il dibattito è acceso.
Daniele Novara, pedagogista, mio punto di riferimento quando ero dirigente scolastica, è del tutto contrario: Lo smartphone in classe è l’ultimo atto della consegna della scuola italiana alle lobby digitali. Il ministero confeziona come novità la svendita della scuola agli interessi dei colossi dell’informatica. La didattica digitale non appartiene in alcun modo alla didattica progressista e innovativa”. Non basta quindi, secondo lui, introdurre un nuovo aggeggio elettronico per dare una svolta alla didattica. "La tecnologia a scuola diventa una risorsa se usata collettivamente -scrive sul sito del Centro psicopedagogico-. Se usata individualmente schiaccia gli alunni nell'isolamento e nella distrazione, sottraendoli all'apprendimento sociale condiviso coi compagni. Opporsi a questa deriva è l'unica cosa che possano fare i genitori, se vogliono evitare guai seri ai loro figli". 

“Siamo prossimi alla resa del sistema educativo – spiega lo psicoterapueta ed esperto di cyberbullismo Luca Pisano, direttore di Ifos –: la scuola tecnologica delega la funzione del pensare a un oggetto. Questa è la base per fabbricare cretini a scuola: con gli smartphone non si sviluppa l’apparato psichico. Il docente così si depotenzia:c’è già la lavagna didattica, a cosa serve il cellulare? Come farà poi il prof a controllare che gli studenti non giochino o vedano porno durante la lezione?”

Da dirigente nella scuola media ho sempre  fatto una crociata (perdente) contro i cellulari a scuola, pur credendo nella tecnologia e nell’importanza del digitale a scuola, quindi nelle TIC, nei COMPUTER,  nelle LIM di cui ho provveduto a dotare i plessi Motterle, Zanella di Arzignano e Beltrame di Montorso, facenti parte della mitica scuola media Giuriolo, prima di uscire dalla scuola nel 2012: tutte le 36 classi, intendo ogni aula, avevano e hanno oggi le LIM ; si aggiungano  vari  laboratori specifici per la video scritttura, le lingue straniere, l’informatica con annessi  gli  strumenti compensativi per gli allievi in difficoltà. Il tutto coronato da corsi di formazione continui per il personale (non obbligatori)  .
Non mi si accusi, pertanto, non appoggiando questa scelta del Ministro dell’Istruzione a favore degli smartphone, di rappresentare il vecchio, il passato, la lezione frontale dei docenti che ho sempre combattuto, credendo nell’ambiente di apprendimento e nella scuola laboratoriale. 

Ma ho sempre ritenuto e lo ritengo oggi, che l’uso degli smartphone non debba essere mascherato come supporto didattico in classe. E non mi si dica che utilizzarli vuol dire prendere atto della realtà e dell’uso che i ragazzi ne fanno.
                                                                                                                          
Come può il MIUR far prevalere la logica aberrante del ‘visto che’…?                                       Visto che il telefonino è entrato nelle nostre vite quotidiane, tanto vale farlo entrare anche nella scuola.
Visto che…è una logica perversa.                                                 
  Scrive Paola Mastrocola: L’abbiamo già fatto, e lo faremo ancora: visto che i ragazzi non sanno più scrivere aboliamo il tema; visto che copiano le versioni da internet, aboliamo o riduciamo la versione dal latino e greco; visto che non sanno più scrivere in corsivo, che scrivano su tastiera; visto che faticano a fare i calcoli, che usino la calcolatrice. Potremmo continuare: visto che ai giovani piace bere birra, ammettiamola come bevanda nell’intervallo; visto che i nostri figlioletti si mettono le dita nel naso, tanto vale insegnar loro un metodo migliore per farlo anche in pubblico; visto che ai ragazzini portati la sera al ristorante piace correre tra i tavoli, inutile costringerli a stare seduti, tanto vale installare dei semafori. Non capisco se si tratti di una debolezza o di una vera e propria convinzione: cioè, non ci opponiamo all’uso clandestino dei telefonini in classe perché tanto non ce la faremo mai a scovarli, requisirli o vietarli (la battaglia è persa in partenza, dunque inutile combatterla)? Oppure ci crediamo veramente, siamo davvero convinti che i telefonini siano meravigliosi strumenti di un nuovo apprendimento?”
Qui sta il punto a mio parere.  Non prendeteci in giro come professionisti.   
       
    Non è questione di lezione frontale (il vecchio) e di metodo innovativo (il digitale).   Gli studenti maneggiano già troppo gli smartphone fuori delle pareti scolastiche e ne sono assuefatti. Hanno ragione quegli insegnanti che commentano in facebook:“Dentro non porterebbero nessuna rivoluzione didattica e metodologica. Gli studenti oggi più di ieri, hanno semmai bisogno di disintossicarsi dal telefono, di interloquire con il docente, di socializzare coi compagni, di sporcarsi le mani, di usare la manualità, con gli strumenti didattici in uso, penne colori e materiali di ogni genere. Di vivere la quotidianità coi piedi per terra, nel reale”.  Ma, poi, di quale innovazione tecnologica si continua a parlare quando nelle scuole   esistono ben altre priorità: lo stato delle aule e le strutture degli edifici scolastici.                                                                                                        Si vuole andare verso il futuro quando le fondamenta cadono a pezzi”.
E non indoriamo la pillola; non riempiamoci la bocca di belle parole “RESPONSABILTA’ e REGOLAMENTAZIONE nelle modalità e nei tempi.  A discrezione di ogni insegnante che potrà promuoverlo o bocciarlo come strumento didattico valido o meno. Divieto d’uso                per i più piccoli. Ci sarà pure un perché se Steve Jobs proibiva ai suoi figli, da piccoli, l’uso di iPad, iPod e iPhone, se Evan Williams, fondatore di Twitter, ha educato i figli abituandoli alla lettura dei libri e cercando di tenerli il più possibile lontani dagli smartphone e iPad?      
Intanto il dibattito prosegue.                                                                                                          È follia allo stato puro, accusa il Codacons nel bocciare senza appello la decisione della ministra dell’Istruzione, Valeria Fedeli, di far entrare gli smartphone nelle aule scolastiche. Si tratta di un provvedimento pericolosissimo, che rischia di portare i ragazzi alla perdita della capacità di pensare, leggere e scrivere in modo indipendente dai telefonini.
Vogliamo riflettere?  
Per quanto mi riguarda, sto con l’accorato appello di  Mastrocola: "Il telefonino in classe potrebbe agevolare l’ormai iniziata, lenta, progressiva dismissione dei libri, che abbiamo sotto gli occhi e che ipocritamente continuiamo a negare. Un ulteriore, durissimo colpo al valore della concentrazione, dell’introspezione, della memoria, dell’attenzione, della riflessione. Dispiacerebbe che fosse proprio la scuola a contribuire in modo così massiccio a relegare i libri negli ombrosi, umidi e ammuffiti scantinati delle nostre esistenze.”  
La scuola dovrebbe invece essere l’ultimo baluardo, l’isola di resistenza da cui, semmai, far ripartire una battaglia culturale.
Poveri ragazzi e povere relazioni umane!   

Donata Albiero                                                             25 gennaio 2018 

         
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